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Informazioni
altezza cm 76,5
Esposizione
Bibliografia
Hawks Le Grice, Walks through the Studii of the Sculptors at Rome, Rome 1841, p. 98 n. 15;
N. Pietrucci, Biografia degli artisti padovani, Padova 1858, p. 231;
M.S. Lilli, Rinaldo Rinaldi, in “Antologia di belle arti”, IV, 1980, 13-14, pp. 94-101, p. 96 fig. 3;
Episodi di scultura in Italia dal Neoclassico al “Ritorno all’ordine”, catalogo della mostra a cura di S. Grandesso, Roma, Galleria Carlo Virgilio 28 maggio - 28 luglio 2002, pp. 22-23.
Allievo dell’Accademia di belle arti di Venezia, Rinaldo Rinaldi si perfezionò a Roma all’Accademia di San Luca sotto la protezione di Antonio Canova. Entrato nello studio di Adamo Tadolini si affermò nell’ambiente del neoclassicismo romano, installando nel 1826 il suo studio nei locali di via delle Colonnette dove aveva lavorato il defunto Canova, di cui realizzò, insieme ad altri scultori, il monumento funebre per la chiesa dei Frari a Venezia. Accanto alla produzione monumentale, Rinaldi eseguì anche busti-ritratto e trattò soggetti mitologici e storici. Appartiene a quella fase di transizione in cui lo stile neoclassico accoglie fermenti romantici la statuetta, di cui sono note almeno tre versioni, Giovanna d’Arco. Eroina tra le più significative del Pantheon romantico, la “pulzella d’Orléans” sotto Napoleone era divenuta simbolo del patriottismo e dell’identità nazionale francese per poi assurgere negli anni Trenta dell’Ottocento a simbolo della Francia stessa rivendicato da repubblicani e monarchici, laici ed ecclesiastici. Venerata come santa dalla Chiesa Cattolica, la giovane si era distinta durante la difesa di Orléans, assediata dagli inglesi, che volevano estromettere Carlo, Delfino ed erede legittimo del trono di Francia, e aveva imposto all’esercito francese uno stile di sobrio e monastico. La tragedia pubblicata da Schiller nel 1801 aveva dato impulso a una ricca produzione artistica, che aveva trovato il coronamento nel capitolo della monumentale Storia di Francia dedicatogli nel 1841 dallo storico Jules Michelet. Oreste Raggi illustra l’opera in esame un articolo, corredato da una tavola incisa di Francesco Garzoli su disegno di Paolo Guglielmi, comparso nel 1837 sul periodico “L’Ape Italiana delle Belle Arti”. Secondo la guida degli studi di scultura di Roma del 1841 del conte Hawsk Le Grice una Giovanna d’Arco è realizzata su commissione della duchessa di Sutherland, mentre un’altra versione è ricordata nel 1858 da Napoleone Pietrucci come proprietà del cavalier Nicolò Vigodarzere. Sottolinea da Raggi che Rinaldi trasfigura l’eroina romantica attraverso il suo bagaglio culturale neoclassico, facendole assumere la posa dell’Apollo sauroctono “sotto la sembianza di una bellissima giovane, vestita di un’armatura di acciajo, portante sul petto la croce, con elmo in capo, e la visiera alzata, che stesse come in atto di riposare in piè ritta. Sostenendosi colla manca al suo stendardo piega alcun poco da questo lato e poggia la destra sopra l’altro fianco”[1]. Più problematica appariva agli occhi del critico, tuttavia, la questione dell’abbigliamento di foggia medievale, che colloca l’opera nella sfera della produzione troubadour: “È questione fra gli artefici se possa ciò convenientemente usarsi avvisandosi alcuni che mal si addicano le attillate vesti alla statuaria, cui meglio conviensi la nudità ovvero il grandioso panneggiare; ed altri opponendo, non senza qualche ragione, che i moderni uomini con moderni abiti debbansi vestire; chè se poco si mostrano appariscenti sia colpa dei nostri meschini costumi, non tanto dello scultore” [2]. Era questo, infatti, un dibatto molto acceso negli anni Trenta dell’Ottocento, che affondava le sue radici nel dialogo tra Canova e Napoleone, in cui l’artista aveva citato come strumenti del linguaggio della scultura il nudo e il panneggio all’antico.
Teresa Sacchi Lodispoto