Informazioni
altezza cm 63 (esclusa la base di cm 13,5)
firmato a sinistra sotto il busto: F. Jerace
Originario di Polistena in provincia di Reggio Calabria e formatosi nello stimolante ambiente dell’Istituto di belle arti di Napoli, Francesco Jerace si accostò al verismo sotto la guida di Stanislao Lista, Filippo Palizzi e Domenico Morelli. Dopo aver partecipato all’Esposizione nazionale di Napoli del 1877 con il realistico Guappetiello, ottenne la definitiva consacrazione all’Esposizione nazionale di Torino del 1880, dove presentò Victa, un sensuale busto femminile, raffigurante la Polonia vinta ma non domata, riprodotto ben diciotto volte. Il suo studio divenne a partire da questo momento un centro di mondanità, frequentato dall’aristocrazia partenopea e internazionale. Alla produzione di busti femminili (Issionne, 1882; Era di maggio e Arianna, 1886; Carmosina ed Ercolanea, 1891; Myriam, 1894; Hadria, 1895; Eroica,1924; Nosside di Locri, 1926), definiti ideali dallo scultore stesso, si affiancarono le committenze pubbliche, tra cui la statua di Vittorio Emanuele per il Palazzo Reale di Napoli e il gruppo de L’Azione per il Vittoriano, e funerarie e i ricercatissimi ritratti, in cui attraverso il suo poderoso bagaglio culturale l’artista seppe fondere la cultura classica, Michelangelo, il manierismo e gli stilemi berniniani e neoclassici con la lezione del verismo partenopeo creando straordinarie immagini vive, vibranti, parlanti, percorse da una interiore forza vitale. Se nel Ritratto della duchessa Teresa Filangieri Fieschi Ravaschieri del 1877 la figura era ancora frontale e strutturata sulla tipologia di busto-ritratto all’antica di tradizione neoclassica, dagli anni Ottanta la struttura compositiva diviene sempre più libera fino a giungere a quegli esiti ben descritti nella presentazione della mostra personale con cui Jerace viene celebrato nell’ambito della Biennale di Venezia del 1909: “possiede veramente l’esuberanza meridionale. È un artista rapido, immaginoso, che passa con facilità da un genere all’altro. Egli congiunge due virtù che parrebbero escludersi, perché ha il senso delle grandi linee, delle mosse agitate e drammatiche, e insieme quello della dolcezza e della morbidità. Se i suoi ritratti d’uomo sono di una rara evidenza robusta […], quelli di donna hanno una grazia incantevole di modellato e di espressione. Certe sue teste femminili schiudono le labbra a quel senso gioioso e luminoso della vita” [1]. Proprio in questi anni, nel primo decennio del Novecento, come suggerito dall’acconciatura e dall’abito con la scollatura rettangolare, si colloca l’elegante ritratto femminile in esame, che per grazia, morbidezza, espressione risponde perfettamente alla descrizione fornita dal catalogo della Biennale. Alla frontalità del busto, lasciato volutamente non finito nella parte bassa, si contrappone il volto leggermente rivolto verso destra. La superficie lucidissima del collo e del volto è appena increspata da una leggera ruga che rende naturale la torsione allo stesso modo con cui Gian Lorenzo Bernini aveva trattato il collo di Costanza Bonarelli. Riferimento quest’ultimo che torna anche nella maniera con cui sono realizzate le guance di cui il marmo riesce a rendere con virtuosismo la consistenza, gli occhi dalle pupille disegnate con lo scalpello e le sopracciglia e i capelli di cui attraverso un diverso grado di lucidatura viene suggerita la ruvidezza.
Teresa Sacchi Lodispoto
[1] A.F., Mostra individuale di Francesco Jerace, in Ottava Esposizione internazionale d'arte della città di Venezia, catalogo della mostra, Venezia 1909, p. 101.