Allievo di Giuseppe Diotti all’Accademia Carrara di Bergamo, Francesco Coghetti si trasferì nel 1821 a Roma, dove venne accolto nello studio di Vincenzo Camuccini, mantendo, tuttavia, uno stretto legame con la sua terra d’origine per la quale realizzò pale d’altare, decorazioni a soggetto religioso e ritratti. Lo studio dal vero delle opere di Raffaello, Domenichino, Guercino, Guido Reni e dei Carracci gli permise di infondere alle sue composizioni innata grazia e naturalezza classiciste. Membro della Congregazione dei virtuosi al Pantheon e dell’Accademia di San Luca, lavorò intensamente per la famiglia Torlonia nel distrutto palazzo in piazza Venezia, nel palazzo in via Condotti, nella villa sulla via Nomentana e nella villa di Castel Gandolfo. Negli anni Quaranta dell’Ottocento il suo stile si evolse in direzione di un linguaggio purista ravvivato dal cromatismo neoveneto della sua prima formazione lombarda. All’interno della sua intensa attività si colloca la pala d’altare Il martirio di santa Felicita e dei suoi sette figli, per la chiesa parrocchiale Santi sette fratelli martiri di Ranica in provincia di Bergamo compiuta nel 1857, dopo una serie di rinvii . Commissionata nel 1834, dopo un primo ritardo, l’opera avrebbe dovuto essere consegnata nel 1852, ma fu effettivamente portata a termine solo nel 1857. Nella grande composizione, dedicata al martirio della matrona romana Felicita e dei suoi sette figli, l’artista dispone con sapienza tredici figure esibendo una grande varietà di pose ed espressioni tratte dal repertorio classicista e neo-veneto. La matrona Felicita con al collo la figlia più giovane è posta sulla sinistra della tela su un gradino di pietra sovrastato da due colonne, che rimandano all’impianto della tizianesca Pala Pesaro. Se tali coordinate culturali appaiono evidenti nell’opera finale, ancor più interessante è il disegno in esame, forse realizzato intorno al 1850, quando Coghetti aveva iniziato a dedicarsi in maniera attiva alla pala, che va al di là del tradizionale repertorio purista, lasciando riemergere le radici lombarde della prima formazione dell’artista, permettendo di cogliere la raffinatezza e la complessità della sua cultura visiva. La santa è studiata nella posizione in cui comparirà nell’opera finale assieme allo sgherro sulla sinistra che le strappa con brutalità la figlia dal collo. Sulla destra compare la figura del sacerdote togato, nel cui tempio era avvenuta la sentenza di morte, che si allontana con orrore dalla scena. Lo spazio sulla sinistra è completamente saturato dalla possente figura di un cavallo secondo una tradizione che dalla Conversione di san Paolo (Milano, Santa Maria presso San Celso) del Moretto conduce alla Vocazione di san Paolo di Caravaggio (Roma, Santa Maria del Popolo) passando per il Sant’Ambrogio a cavallo scaccia gli ariani (Milano, Castello Sforzesco) di Giovanni Ambrogio Figino.
Teresa Sacchi Lodispoto
[1] A. Pinetti, Francesco Coghetti pittore (1802 – 1875), Bergamo 1915, pp. 29-30.