Informazioni
cm 43 x 62,7
Bibliografia
Attribuita a Bernardo Celentano da Bruno Mantura e Stefano Susinno nel 1989 in occasione della mostra Memoria storica e attualità tra Rivoluzione e Restaurazione, la tela è è piuttosto da porre in relazione con il dipinto di Lorenzo Vallés Il corpo di Beatrice Cenci esposto a Ponte Sant’Angelo. È questa una delle opere più importanti dell’artista spagnolo a lungo attivo a Roma, dove grazie a una pensione del duca de Sisto si era trasferito nel 1853 per perfezionarsi. Nella città eterna aveva colto gli stimoli dapprima della pittura nazzarena di Johann Friederich Overbeck, di Léopold Robert e dell’ambiente internazionale romano, come attesta nell’opera in esame il raffinato gruppo di popolane raffigurate sulla sinistra, e poi della pittura di storia di Domenico Morelli e Bernardo Celentano, di cui risulta debitore sia per quanto riguarda le scelte tecniche e compositive sia per quanto riguarda la fedeltà al dato storico nella scelta dei costumi. Dopo aver ottenuto i primi riconoscimenti con Il corpo di santa Sinforosa tratto dal fiume dai suoi familiari (1858) e La conversione del marchese de Lombai, futuro san Francesco Borgia (1862), nel 1864 aveva ottenuto il secondo premio all’Exposición Nacional con Il corpo di Beatrice Cenci esposto a Ponte Sant’Angelo, acquistato l’anno successivo dal re per il Museo del Prado e inviato nello stesso anno all’Esposizione di Dublino e nel 1867 all’Esposizione Universale di Parigi [1]. L’opera, semidistrutta da un incendio nel 1872, è, tuttavia, oggi nota nella sua interezza solo attraverso una foto d’epoca. Tale drammatica perdita non permette di compiere una corretta analisi. L’opera della collezione Mantura in esame potrebbe, infatti, essere tanto una replica non firmata rimasta nello studio romano di Vallés quanto una copia, che proprio in virtù della sua eccellente qualità non può essere stata realizzata sulla base di una riproduzione fotografica, ma dal vero nel breve lasso di tempo in cui il dipinto era ancora nello studio dell’artista prima di prendere la strada di Madrid, Dublino e Parigi. Vallés, pienamente integrato nella koinè internazionale romana, tratta uno dei temi più popolari alla metà dell’Ottocento. Beatrice Cenci, condannata per l’assassinio del padre violento e abusatore e giustiziata appena ventiduenne l’11 settembre 1599, diviene a partire dalla tragedia The Cenci (1819), ispirata a Shelley dal celebre ritratto (Roma, Gallerie Nazionali Barberini Corsini) attribuito a Guido Reni, un simbolo di ribellione contro i tiranni. Le edizioni illustrate del romanzo Beatrice Cenci (1854) di Francesco Guerrazzi e le dieci tavole Ultimi avvenimenti della vita di Beatrice Cenci pubblicate negli stessi anni a Firenze dall’editore Ricordi sanciscono la definitiva diffusione a livello popolare della drammatica vicenda della giovane romana, i cui ultimi giorni di vita furono il soggetto di un ingente numero di dipinti. Lo stesso Vallés fu, d’altronde, autore anche di una perduta tela raffigurante Beatrice Cenci condotta al patibolo presentata a Roma nel 1864 [2]. Raccontano le cronache che il processo e la condanna della giovane, che anche sotto tortura non aveva voluto ammettere gli abusi subiti dal padre per non compromettere il proprio onore, aveva colpito particolarmente tutti gli abitanti di Roma, senza distinzione di classi sociali, e che il giorno della sua morte una gran folla si era raccolta nel crocevia di fronte a Ponte Sant’Angelo, dove tradizionalmente si tenevano le esecuzioni capitali. Per placare gli animi papa Clemente VIII aveva, pertanto, concesso di esporre sulla pubblica piazza il corpo della sfortunata eroina, a cui i romani avevano reso onore cospargendolo di fiori. Come sottolineato da Caterina Bon Valsassina, il dipinto è frutto di un attento studio delle fonti e costituisce quasi un manifesto della fortuna del tema. Tutte le classi sociali concorrono a costituire una scena corale e di grande impatto drammatico, a partire dal gruppo delle popolane sulla sinistra fino ai fanciulli sulla destra arrampicati sulla base della statua e al gruppo di tre uomini in armi. Alle figure dei frati francescani, che condividono solennità e compostezza con il fra’ Cristoforo manzoniano, e del confratello incappucciato della Confraternita di Orazione e Morte fa riscontro quella del cardinale che occhieggia la scena dalla sua portantina. Al centro della composizione spicca una nobildonna in abiti eleganti che accompagna un bambino, probabilmente il “povero fanciullo pupillo” citato nel testamento di Beatrice Cenci e da molti considerato un suo figlio illegittimo.
Teresa Sacchi Lodispoto