Stima
€ 180.000 - 200.000
Lotto venduto
€ 219.460
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Note Specialistiche
Pure lei avrà indossato un abito elegante quel giorno, quella sera a cena tra Reali, ma si fatica a immaginarla a suo agio in un tale consesso: quel volto tondo, severo, mai incline sembrerebbe a facili sorrisi, antico e scuro come la sua terra, si affaccia dalla tante foto in bianco e nero dell’archivio, in pose diverse ma sempre accomunate da un grandissimo senso di dignità e antico splendore. Una piccola donna, proveniente da un piccolo paese sprofondato nel Mediterraneo, nella più aspra e selvaggia isola nel Mare Nostrum, di colpo si trova al centro del mondo, in una notte di dicembre del 1927. Di certo aveva gli occhi di mezzo mondo puntati su di lei, da quando nel novembre del 1927 aveva appreso della vittoria del Premio Nobel della Letteratura. E su di lei si posavano anche gli occhi amorevoli del suo dolce marito, quel “Palmirino” Madesani che qui compare in splendide e struggenti lettere d’amore. Un universo di emozioni, sensazioni, passioni e pensieri che aveva convinto anche gli austeri giurati del Nobel, gente che mai aveva visto o sentito forse parlare della Sardegna, di Nuoro, di una piccola donna sarda dai lineamenti scuri e i tratti arcaici. Grazia Deledda, “per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola Natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano”. Un commovente biglietto su carta intestata Nobelstiftelsen, trascrive il testo della motivazione del Nobel: forse sarà stato proprio quello letto la notte del 10 dicembre, e gelosamente conservato tra le carte del suo archivio personale. Una motivazione che condensa una vita intera, un percorso letterario sublime, una parabola che avrebbe portato la nostra piccola donna dalle riviste di moda milanesi al più alto riconoscimento che uno scrittore possa desiderare. E di questa parabola umana e artistica questo archivio è fedele e completa testimonianza, raccogliendo documenti, lettere, fotografie e soprattutto manoscritti autografi di in un arco temporale che va dal 1890 circa sino alla morte. Grazia Maria Cosima Damiana fu la quinta di sette figli, di un’agiata famiglia nuorese. Questo le consentì di studiare fino alla IV elementare, per poi essere seguita privatamente da un precettore a casa, come nelle consuetudini dell’epoca. Per il resto fu una vorace autodidatta, che passò dalla letteratura francese a quella russa, senza trascurare il mondo anglosassone. E dunque per niente periferica fu la sua formazione letteraria, fondata sui modelli più alti delle letteratura europea del sec.XIX., ma quella lezione fecondò una scrittura di grande potenza solo a contatto con la mitica – nel senso letterale del termine – dimensione sociale sarda. Eppure in Sardegna Grazia visse relativamente poco, 28 anni a Nuoro, quindi un paio a Cagliari, per poi approdare a Roma dove trascorse i restanti 36 anni della sua vita. Ma la Sardegna, per lei come per molti altri scrittori sardi, è in fondo una condizione esistenziale innaturata, iscritta nel DNA su base quasi genetica. Una Sardegna che diventa serbatoio ideale di temi, emozioni, riflessioni, analisi della condizione umana in chiave etnico-antropologica, ma non solo. Perché Grazia fu donna verista, ma a modo suo. “E’ bensì vero che, negli anni che corrispondono alla sua maggior fioritura, l’acerba fantasia della Deledda si venne per così dire schiarendo e purificando, ma in questo processo di affinamento ebbe un peso preponderante, se mai, l’accresciuta esperienza di vita, donde un modo più distaccato e lucido di investire una torbida materia di impressioni e ricordi. Sta di fatto che quest’arte nasceva da un movimento istintivo e seguitò fino all’ultimo ad essere eccitata e regolata da un istinto, da una sorta di confusa ma prepotente vocazione…Di qui quella sua fedeltà costante alla prima radice emotiva, che è garanzia di autenticità (…).” Così scriveva Natalino Sapegno nella sua Prefazione al Meridiano uscito nel 1971 (pp.XV-XVI), cogliendo bene nel segno la cifra stilistica e morale della Deledda, una sorta di primordiale istinto artistico che si converte e affina nel tempo, senza mai tradire la sua originaria matrice espressiva: che sta tutta nell’adesione al paesaggio, ai personaggi che si muovono in quel paesaggio, alle forze della natura e agli istinti che agitano abbozzati caratteri umani. E la sua forza, interiore ed esteriore, così ben visibile nei ritratti, lei la dichiara apertamente: “…alla mia coscienza di artista, alla superiorità che sento di avere sulla folla, alla potenza occulta che illumina l’anima mia (…) io sono forte, fortissima: guardo in faccia il dolore, la tristezza, ogni viltà, ogni miseria della vita: il giorno in cui sentirei d’esser vile o appena debole mi ucciderei (…)”. Cosi scrive al suo futuro marito, quel Palmiro Madesani che a lei dedicò tutta la sua vita, non solo affettivamente ma anche professionalmente: ed è un capitolo straordinario del presente lotto la corrispondenza amorosa tra Grazie e “Palmirino”, oltre 500 lettere inviate perlopiù a lui ma anche ad altri familiari, che ci rivelano una Grazia meno “letteraria” e più intima, tutta rivolta dentro sé stessa a contemplare il suo animo e il riflesso che ciò produce sui suoi cari. Ma ci sono anche lettere di lavoro, riflessioni sulla sua produzione, sui vari impegni pre e post-Nobel, uno specchio fedele della Deledda colta nel flusso della vita, con la sua naturale e risaputa ritrosia ma anche col suo orgoglio di grande scrittrice giunta all’apice mai possibile per un’artista. Ma entriamo nel corpus di questo archivio, che si configura per la sua vastità come IL PIU’ VASTO INSIEME DI DOCUMENTI E TESTIMONIANZE di e su Grazia Deledda. E questo a partire dagli stessi ambienti in cui visse, perché nel lotto è presente anche la celebre sala da pranzo realizzata per lei negli anni Venti dal lucchese Carlo Spicciani, uno dei massimi interpreti dello stile secessionista in Italia. La stanza in questione è pubblicata nel volume Gli arredi Spicciani. Tradizione lucchese e istanze internazionali nella produzione del mobile artistico toscano tra Ottocento e Novecento di Alessandra Belluomini e Glauco Borella (Maschietto Editore, 2006, pp.144-145) e si compone di una credenza, un buffet e un tavolo dall’austero disegno formale in stile Secessione. Spicciani venne presentato alla Deledda da Plinio Nomellini, caro amico di famiglia, cui si deve di certo il più bel ritratto ad olio che si conosca di Grazia, realizzato nel 1913-’14 e qui presentato nel successivo lotto [6 bis]. Altri mobili di arredo della casa romana fanno parte del lotto, così come alcuni delicati dipinti che ritraggono lei, il marito Madesani, scorci, personaggi e vedute. L’ambiente fisico della casa in cui visse gran parte della sua vita è così pienamente restituito dagli oggetti qui offerti nel lotto, un recupero filologico perfettamente in linea con le più recenti intuizioni della moderna scienza museografica, che tende a valorizzare le case d’artista, le biblioteche d’autore, gli archivi pertinenti alle stesse biblioteche, concependoli come parti di un tutto indispensabile per cogliere appieno la produzione di uno scrittore.E di quella produzione, il cuore del presente nucleo deleddiano, qui abbiamo la massima espressione: sono conservati la bellezza di 55 MANOSCRITTI AUTOGRAFI, spesso corredati da note, revisioni, interventi di varia natura, romanzi, racconti, novelle, tutto l’ampio repertorio della produzione letteraria della Deledda, a partire dai primordi sino alle opere maggiori. Centinaia di pagine vergate nella sua tipica scrittura e sui tipici supporti adottati dalla scrittrice: ovverosia delle strisce verticali di carta lunghe all’incirca 50 cm, larghe più o meno 20 cm., dove la Deledda scriveva senza quasi margini, riservando al verso lo spazio per le inserzioni e gli emendamenti. Molte di queste opere, in attesa della puntuale ricostruzione ecdotica della sua produzione che solo ora si sta conducendo a Cagliari presso il Centro di Studi Filologici Sardi diretto da Giueppe Marci, risultano probabilmente INEDITE. Alcuni manoscritti sembrano ordinatamente approntati per la stampa, giuste le ditate di inchiostro segno indelebile del loro passaggio in tipografia, altri rivelano un febbrile lavoro di stesura, con interventi, inserti, cancellature, tutti segni di una scrittura spesso molto tormentata. Diversi racconti brevi sono poi apparsi sulle riviste con le quali collaborava, una su tutte “La Riviera Ligure”, frutto della sua metodica e celeberrima costanza produttiva, che la portò a realizzare nel giro di quarant’anni circa, una trentina di romanzi e una quindicina di libri di novelle, oltre a isolati tentativi teatrali di cui anche in questo caso il lotto reca testimonianza con ben sei opere teatrali complete.Il vasto corpus raccolto nel presente fondo è arricchito da decine di fotografie della Deledda o a lei dedicate: spicca su tutte, per rilievo storico, la foto con dedica di Mussolini datata 25 nov. ’27, “A Grazia Deledda con profonda ammirazione”, inviata a ridosso della notizia della vittoria del Nobel, che fa da pendant al telegramma inviatole nella stessa data col testo “Vogliate vi prego ricevere le mie congratulazioni in quest’ora in cui il mondo consacra la vostra gloria di scrittrice italiana”. Il dossier Nobel è particolarmente ricco: si trova l’invito, il memorandum, il programma, il menu del ricevimento, la nota del Governatore di Roma, Principe Spada, una lettera del Barone De Bildt, la lettera del Vescovo Muller di Stoccolma e del Sottosegretario di Stato, il placement per il grande ricevimento della sera del Nobel, vari telegrammi etc. A contorno, tutta una serie di documenti, onorificenze, diplomi, romanzi e novelle in prima edizione, finanche un foglio intero della prima tiratura di francobolli celebrativi.Grazia Deledda fu il secondo premio Nobel per la letteratura ricevuto da un italiano, dopo Carducci, e il primo e unico ricevuto da una donna. Fu un Nobel meritato, di sicuro non “pilotato” dal regime, che ancora non aveva alcun potere di influenza nel 1927; fu un premio dato ad una donna, oltre che ad una grande scrittrice, in cui i giurati avevano visto il valore eterno del messaggio letterario e la forza di testimonianza di una persona piena e forte. La sua opera andrebbe ora più che mai riscoperta e riletta, alla luce di quel periodo storico e di quella forte identità sarda che da sempre rappresenta un valore, non certo un limite “regionale”. L’auspicio di tutti è che queste carte trovino degna ospitalità presso istituzioni che ne liberino il grande potenziale espressivo, perché la forza della scrittura della Deledda, la sua incoercibile fedeltà ai valori di una terra antica e moderna come la Sardegna risuonino ancora nelle pagine di nuovi scrittori e nuovi lettori. Questo è il destino di chi scrive, da sempre. E la Deledda alla scrittura aveva votato la sua intera vita, non invano.