Definito impropriamente del "periodo nero" dalla critica italiana sulla scorta delle accensioni di Testori (appassionato e apologetico ammiratore di Courbet), il magnetico paesaggio courbetiano deve al suo massimo studioso, Jean-Jacques Fernier, un'analisi più circostanziata sia sul piano stilistico sia critico.Fernier, redigendo la scheda scientifica per l'Institut Gustave Courbet, ne ripercorre dapprima la storia collezionistica; fu acquisito a Parigi nel 1904 da Pietro Romanelli, quindi passò al mercante d'arte bergamasco Bruno Lorenzelli, il quale fu il primo a ricondurlo correttamente alla mano del maestro di Ornans, quindi dopo alcuni passaggi veneziani che lo stesso Lorenzelli riportò nella sua relazione - lo ebbe il celebre gallerista Carlo Cardazzo e l'editore Neri Pozza -, passò agli eredi Finazzi dove Fernier lo vide nel 2011 per analizzarlo de visu."L'opera rappresenta", scrive Fernier, "un ruscello tra due falesie delle quali la più lontana riceve, sotto un cielo blu, i raggi del sole mentre nel primo piano, la falesia a sinistra e i cespugli sulla riva sono nell'ombra d'una giornata d'estate. Si tratta di un tema ricorrente in Courbet negli anni 70".La cosa che colpisce Fernier è il bagliore degli ultimi paesaggi del Jura come questo che Courbet, a partire dal 1875, non vedrà mai più; una sorta di impressione finale del suo amato paesaggio natìo. L'opera sarà presente nel volume in preparazione, estensione del catalogo generale.Courbet, genio riconosciuto e autoriconosciutosi in termini guasconi del realismo, dimostra ancora una volta la sua adesione alla natura senza filtri, con una resa sulla tela d'una modernità che influenzerà grandi artisti del Novecento, in primis Morandi, quindi Morlotti e tanti altri, nella linea del naturalismo novecentesco. Dal punto di vista della tradizione pittorica, dimostra la sua assimiliazione dei grandi fiamminghi e del contrasto luce-ombra seicentesco oltre a sintonizzarsi con i più giovani impressionisti che lo vedevano come un mito vivente, al pari di Corot che si spegneva proprio nel 1875.L'iconicità di questo meraviglioso Rochers d'Ornans sta in una linea diagonale che taglia il dipinto in due: da un lato l'ombra che avvolge la materia pittorica e la natura descritta e dall'altro la luce, che mentre si osserva il dipinto, mette in evidenza tutta la gamma cromatica con inaspettate accensioni di rosso, blu, viola, verde.
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