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Informazioni
altezza cm 30,5 (esclusa la base in legno)
firmata a destra sulla base: C. Barbella e intitolata davanti sulla base
Esposizione
Bibliografia
Le sculture di Costantino Barbella, presenti in importanti collezioni pubbliche in Italia e all’estero oltre che in prestigiose raccolte private, raccontano una fase cruciale della storia del nostro Ottocento. L’artista godette in vita – e già in giovane età – di grande successo, affascinando con piccoli bronzi e terrecotte il collezionismo dell’alta società anche fuori dai confini nazionali. Ciò che gli veniva riconosciuto da critica e collezionisti all’unanimità era la capacità di narrare, con singolare afflato lirico, la realtà popolare dell’Italia del Centro-sud. In effetti, nella vasta produzione di scene di genere del secondo Ottocento napoletano, tra dipinti e sculture,quelle dell’artista teatino si distinguono per uno spiccato accento di umanità,oltre che per un gusto arcaicizzante affine a quello dei dipinti del conterraneo Francesco Paolo Michetti. Merito di un’estetica improntata sulla ricerca di valori di grazia ed eleganza, lontanissima dall’indole caricaturista di altri interpreti di scene di genere del suo tempo, i personaggi di Barbella superano felicemente l’aneddoto. Ritratti di contadini e venditrici al lavoro assumono quindi connotati monumentali, pur nei limiti delle sculture da tavolo:eppure, l’artista non idealizza il popolo, bensì lo rappresenta nella sua più vivace autenticità. Ciò non sfuggì alla critica, e in particolare all’amico Gabriele D’Annunzio, che scrisse a più riprese – e in termini più che lusinghieri – della produzione scultorea di Barbella. Come Michetti, lo scultore aveva piena consapevolezza della realtà rurale che ergeva a protagonista della propria arte e per la quale nutrì sempre un senso di appartenenza, forse persino in maniera più intima rispetto alle altre personalità del cosiddetto “cenacolo michettiano” (vale a dire quel gruppo di intellettuali che si ritrovavano periodicamente nel convento francescano di Francavilla al Mare acquistato verso la metà degli anni Ottanta dell’Ottocento da Michetti: tra gli altri, Gabriele D’Annunzio, Francesco Paolo Tosti, Edoardo Scarfoglio, Antonio De Nino).
Le quattro terrecotte qui presentate riassumono con efficacia i tratti salienti della produzione barbelliana. Sebbene si sia spesso brillantemente misurato con figure a grandezza naturale, è senza dubbio nelle sculture di dimensioni ridotte che il teatino espresse al meglio la propria visione artistica [1]. La sua predilezione per le piccole statue in terracotta sarebbe da connettere,secondo la bibliografia, alla prima giovinezza, vale a dire al periodo in cui realizzava per la bottega paterna di «chincaglierie e generi coloniali» [2] piccole statuine presepiali, già rivelatrici di un talento non comune. Talento che gli permise di ottenere un sussidio concesso dalla Provincia di Chieti per studiare a Napoli, dove frequentò i corsi di Stanislao Lista (già maestro di Vincenzo Gemito, anche lui classe 1852). Nell’ex capitale del Regno delle Due Sicilie ottenne anche i suoi primi importanti riconoscimenti: all’esposizione della società promotrice “Salvator Rosa” del 1874 il gruppo La gioia dell’innocenza dopo il lavoro andò a Vittorio Emanuele II, che lo destinò alle collezioni del museo di Capodimonte, dove ancora oggi è conservato.L’exploit avvenne però nel 1877 all’Esposizione Nazionale di Belle Arti a Napoli – la stessa in cui Michetti esponeva La processione del Corpus Domini a Chieti – quando presentò il celebre gruppo intitolato La canzone d’amore (fig. 2), scultura che gli procurò, per sua stessa ammissione,«denaro e fama» e «la soddisfazione morale di essere nominato, per meriti speciali, unico fra gli scultori espositori, professore onorario dell’Istituto Reale di belle arti» [3].Il successo dell’opera fu tale da spingerlo a realizzarne più fusioni in bronzo– anche nel corso dei decenni a venire, presentate alle esposizioni con titoli diversi – e ad eseguire nuove sculture ispirate al medesimo tema. Tra queste,vi è Armonia (lotto 165), in cui l’artista riprende due delle tre figure de La canzone d’amore intervenendo con leggere modifiche su alcuni dettagli della posa e delle vesti. Un esemplare in bronzo fu acquistato dall’ex chedivè Isma'il Pascià all’“Esposizione di Belle Arti in Roma” del 1883.
Nella stessa sede Barbella esponeva un’altra delle sue più acclamate sculture: Soli (lotto 164), già presentata a Parigi nel 1879 [4] con il titolo Canestro d’amore e a Milano nel 1881 come Nessun ci vede (fig.1). Lo scultore ne fece in seguito diverse copie, sia in terracotta che in bronzo, in ragione di numerose richieste pervenutegli in seguito all’entusiasmo dimostrato dalla critica. Una di queste fu acquistata per le proprie collezioni da re Umberto I nel 1889 [5].«Il modellamento delle parti molli nelle figure muliebri del Barbella è mirabile, ha qualche cosa di una carezza», scriveva Gabriele D’Annunzio anni dopo la prima apparizione pubblica del gruppo scultoreo: «Tutto il torso della donna nel Canestro d’Amore, appena maturo, quasi contenuto e compresso nella sua grazia e chiuso nella sua giovinezza come nell’involucro d’una boccia di rosa, è di una vitalità spirante» [6]. L’opera inaugurò tutta una serie di sculture sul tema del rapporto amoroso tra uomini e donne, naturalmente da una prospettiva popolare, che l’artista espose con il consueto successo in Italia e all’estero. Di queste, la critica parve apprezzare non solo la capacità d’introspezione psicologica, ma anche la finezza dei dettagli – nei cui effetti pittorici si scorge l’influenza del catalano Mariano Fortuny – e la perizia tecnica nel dirigerne le fusioni in bronzo. In effetti, le sculture realizzate da Barbella a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento mostrano una rinnovata attenzione alla patinatura [7] e alla resa della cesellatura (forse in una sorta di confronto a distanza con Vincenzo Gemito, il quale dall’apertura della fonderia nel 1883 prese a condurre una ricerca analoga).
L’abilità di Barbella nel trattare la materia emerge non solo dalle sculture rifinite e patinate, ma anche nei pezzi lasciati volontariamente allo stato di abbozzo,come il presente studio per La ciliegia (lotto 167), che nei particolari più minuti ha il sapore di un manufatto di oreficeria. Ancor più che la versione finale (fig. 4), questa terracotta datata dall’artista al 17 gennaio del 1894 restituisce con efficacia la freschezza dell’impressione nel fissare «quel momento di stanchezza e di noia che devono provare quelle ragazze che oltre alla merce devono far mostra delle loro grazie e sottostare ai capricci ed ai lazzi dei compratori» [8]. Coni nuovi titoli Al mercato, Tristezza e Venditrice di ciliege,la fusione definitiva in bronzo fu esposta in più occasioni nell’ultimo lustro dell’Ottocento. Così ne parlò Luigi Pirandello in una recensione della mostra alla Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti in Roma del 1895: «[…]rappresenta una giovine contadina venditrice di ciliegie. E una ciliegia è anche lei, che il Barbella senza dubbio venderà, e bene, secondo il solito» [9]. Lo scrittore siciliano non sbagliò le sue previsioni: l’opera fu acquistata dal governo russo, nel 1898, alla “Prima Esposizione Artistica Italiana di Pittura e Scultura in Pietroburgo”.
Il successo internazionale delle sue opere portò Barbella a intraprendere numerosi viaggi, sia per portare di persona le sculture alle esposizioni, sia per lavorare alle commissioni di ritratti da eseguire dal vero. Nel 1904 si recò a Londra – dove ritrovò l’amico Francesco Paolo Tosti – per prendere parte con una grande mostra personale alla “Italian Exhibition” all’Earls Court Exhibition Centre: lì, vendute numerose sculture e ottenute commissioni per ritratti a personaggi dell’alta società, gli fu chiesto di realizzare un gruppo scultoreo raffigurante il ferimento dell’ammiraglio Nelson (lotto 166). L’artista lo realizzò al suo ritorno in patria, per poi ordinarne una fusione presso le fonderie Nelli di Roma, presentata nel 1905 alla Royal United Service Institution al palazzo di Whitehall (oggi a Greenwich presso il National Maritime Museum) in occasione delle celebrazioni per il centenario della battaglia di Trafalgar. La presente versione in terracotta del gruppo risulta in questa sede particolarmente calzante per documentare la fase matura dell’attività artistica di Costantino Barbella, nel primo decennio del Novecento ancora all’apice della fama (fig. 3). Successivamente, con il sopraggiungere tumultuoso della modernità e delle avanguardie, la sua figura si fece sempre più appartata nella scena nazionale, continuando però a contare su importanti commissioni e sul riconoscimento unanime di una carriera ormai consegnata alla storia dell’arte.
Manuel Carrera
Luglio 2020
[1] Sull’argomento, si veda: P. Orano, Un grande scultore di statue piccine: Costantino Barbella, in “Il Secolo XX”, settembre 1906, pp. 706-719; A. Amoroso, Il grande scultore del piccolo, in “La patria degli italiani”, 9 dicembre 1925.
[2] Tratto dalle memorie di Barbella pubblicate in O. Roux (a cura di), Illustri italiani contemporanei: memorie giovanili autobiografiche di letterati, artisti, scienziati, uomini politici,patrioti e pubblicisti, Firenze 1908, vol. II, parte seconda, p. 182.
[3] Ivi, pp. 185-186.
[4] All’esposizione parigina del 1879 fu premiato con medaglia d’argento. Cfr. Cronaca di Belle Arti, in “Roma Artistica”, 12 dicembre 1879, p. 292.
[5] G. Aurini, Le terrecotte ed i bronzi di Costantino Barbella, in “La rivista abruzzese di scienze, lettere ed arti”, 1896, fasc. V., p. 229.
[6] G. D’Annunzio, Della bellezza di Elena e del bronzo, in “L’illustrazione Italiana”, 8 novembre 1896, pp. 310-311.
[7] Cfr. A.Lancellotti, Costantino Barbella (1852-1925), Roma 1934, p. 73.
[8] Aurini, cit. p. 228.
[9] L.Pirandello, L’Esposizione di Belle Arti in Roma 1895-96: V. Scultura, in“Giornale di Sicilia”, 1-2 novembre 1895.