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Arte Figurativa tra XIX e XX Secolo

martedì 11 luglio 2023, ore 15:00 • Roma

76

Costantino Barbella

(Chieti 1852 - Roma 1925)

Figura di bambino, 1874

Stima

€ 3.000 - 5.000

Lotto venduto

€ 3.870

I prezzi di vendita comprendono i diritti d'asta

Informazioni

scultura in terracotta
cm 49,5 x 17,5 x 14,5
firmata e datata sulla base: C.no Barbella / 1874

Provenienza

Raccolta Rotondo, Napoli.

Questa scultura in terracotta di Costantino Barbella, che allo stato attuale delle conoscenze risulta inedita, costituisce una rara testimonianza della sua prima fase di attività. Nel 1874, anno in cui fu realizzata, lo scultore si trovava a Napoli per studiare con Stanislao Lista presso il Reale Istituto di Belle Arti, che poté frequentare grazie a un sussidio concesso dalla Provincia di Chieti. Fu un anno di svolta per il giovane Barbella: il gruppo a grandezza naturale La gioia dell’innocenza dopo il lavoro (fig. 1), esposto alla mostra annuale della Società Promotrice “Salvator Rosa”, fu acquistato dalla stessa società per Vittorio Emanuele II, il quale a sua volta lo destinò alle collezioni del Museo Nazionale di Capodimonte, dove ancora oggi è conservato. Fu quello il primo importante traguardo di una carriera costellata di successi. Da quel momento, infatti, le sue opere cominciarono a entrare in prestigiose collezioni, sia pubbliche che private, come la raccolta di Beniamino e Paolo Rotondo, da cui proviene anche la scultura in esame. In gran parte donata al Museo Nazionale di San Martino di Napoli, la collezione Rotondo annoverava, tra gli altri, capolavori di Domenico Morelli, Antonio Mancini, Francesco Paolo Michetti e Vincenzo Gemito.

La fama di Barbella oltrepassò i confini nazionali, merito della capacità, pienamente riconosciuta da critica e collezionismo, di raccontare con elegante accento lirico la vita di campagna. Una ricerca, quella dello scultore teatino, affine da un lato a quella di Michetti, che ritrovava il mito dell’Arcadia nella cultura popolare abruzzese, dall’altro, in letteratura, a quella di Gabriele d’Annunzio. Il “vate” scrisse a più riprese – e sempre in termini entusiastici– a proposito della scultura di Barbella, con cui fu sempre in stretti rapporti d’amicizia. Con Francesco Paolo Tosti e, tra gli altri, Edoardo Scarfoglio e Antonio De Nino, i due si incontravano periodicamente nel cosiddetto “cenacolo michettiano”, vale a dire il convento acquistato attorno al 1885 da Michetti a Francavilla al Mare.

L’opera in esame si colloca all’interno di una ricca produzione di sculture in terracotta di dimensioni ridotte, nelle quali, fin dagli esordi, Barbella dimostrò di esprimere al meglio la propria vocazione di poeta della realtà popolare. Nel 1906, in un articolo per “Il Secolo XX”, lo scrittore romano Paolo Orano lo definì «un grande scultore di statue piccine»[1].Tale attitudine è stata associata dai biografi alla sua attività nella bottega di «chincaglierie e generi coloniali»[2] del padre, dove muoveva i primi passi da scultore realizzando statuine presepiali. Quello dell’ispirazione dai presepi, per ciò che concerne la tradizione napoletana, è un topos che si ritrova pure nella biografia di Vincenzo Gemito, con cui Barbella condivideva la propensione a un modellato vibrante. A ogni modo, un certo sapore presepiale è senz’altro riscontrabile nella figura di bambino in esame. Vi si riconosce il tipo dello “scugnizzo” napoletano, come veniva definito il monello che popolava i vicoli della città, protagonista di numerose opere d’arte realizzate dagli artisti di scuola partenopea della generazione di Barbella. Al successo internazionale di tale soggetto contribuì in buona misurala fotografia: si pensi, ad esempio, agli scatti dei fratelli Alinari o di Giorgio Sommer, raffiguranti bambini poveri che giocano, suonano uno strumento o si aggirano per le vie del centro e che, quando non avevano valore documentario, venivano venduti come souvenir, in particolare ai collezionisti dell’Europa del Nord. Non sorprende, dunque, che gli “scugnizzi” affollassero le esposizioni – anche quelle nazionali, dove la scuola napoletana era sempre ben rappresentata – tra gli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento, tra bronzi e terrecotte, più raramente marmi, di carattere aneddotico e perlopiù di dimensioni contenute. Lo “scugnizzo” ebbe altrettanta fortuna in pittura: si pensi a quelli di Francesco Lojacono, Giuseppe Costantini e, soprattutto, di Antonio Mancini. La capacità di introspezione dei ritratti infantili di quest’ultimo si ritrova anche nella presente scultura di Barbella, nel quale l’artista rivela speciale perizia tecnica nella resa dei dettagli, dal vivace effetto pittorico. Negli anni a seguire, la critica avrebbe più volte sottolineato la capacità dello scultore di conferire speciale attenzione alla patinatura delle superfici[3] e alla resa della cesellatura. Nel corso della sua carriera, Barbella si confrontò più volte con i temi dell’universo infantile: tra le più note, vale qui la pena citare le figure intitolate Sù su (fig. 2) e Bum!... (fig. 3), sculture che spinsero d’Annunzio a porsi una domanda retorica: «quale mai cesellatore è giunto a quella perfezione nel lavorare una superficie?»[4].

 

Manuel Carrera

Giugno 2023


1 P. Orano, Un grande scultore di statue piccine: Costantino Barbella, in “Il Secolo XX”, settembre 1906, pp. 706-719.

2 Dalle memorie di Barbella pubblicate in O. Roux (a cura di), Illustri italiani contemporanei: memorie giovanili autobiografiche di letterati, artisti, scienziati, uomini politici, patrioti e pubblicisti, Firenze 1908, vol. II, parte seconda, p. 182.

4 Cfr. A. Andreoli (a cura di), Scritti giornalistici 1882-1888, Milano 1996, p. 372.