“Sono solo un testimone di quello che vedo. Cerco di essere il più obiettivo possibile, fotografando la realtà. Per me l’importanza della fotografia è la documentazione, la testimonianza, come eravamo in quel momento.”
Leica (“Me la tengo sempre legata al polso”), pellicola e bianco e nero. Se dovessimo riassumere la fotografia di Gianni Berengo Gardin useremmo esattamente queste tre parole, aggiungendone però un’ultima, fondamentale: Venezia.
Berengo Gardin nasce nel 1930 a Santa Margherita Ligure, dove i suoi genitori gestivano un hotel. Cresce e studia nella città lagunare, che lui definisce “la sua vera città natale”, quella città che da oltre sessant’anni racconta attraverso i suoi scatti: le storie della città e dei suoi abitanti.
La passione per la fotografia inizia proprio nella sua Venezia, negli anni ‘50, quando scriveva per alcuni giornali d’aviazione e aveva bisogno di immagini che illustrassero i suoi articoli. Uno zio che abitava negli Stati Uniti era consigliere al The International Center of Photography di New York, che all’epoca era diretto da Cornell Capa, fratello del più conosciuto Robert Capa. Fu così che lo zio, avendo notato la passione del giovane Gianni, chiese consiglio proprio a Cornell Capa su quali libri potesse spedirgli in Italia. Furono le foto della Farm Security Administration, dell’AIF, di Eugene Smith e Dorothea Lange che scoprì su quei volumi a cambiare totalmente il suo approccio alla fotografia, che in breve divenne la sua professione a tutti gli effetti.
Comincia così il suo percorso fotografico, con uno spiccato interesse verso il “Sociale” o meglio verso le persone, il costume, il mondo che lo circonda. Così racconta Berengo Gardin: “L’uomo cerco di infilarlo sempre nelle mie foto, la presenza dell’uomo è importante. Anche dove non c’è l’uomo si percepisce la sua presenza.”
Viaggia molto, da Venezia a Roma, da Roma in Svizzera poi in Francia poi a Milano. A Parigi, negli anni ‘50, diventa amico dei grandi fotografi francesi, Boubat, Doinseau, Masclet ma soprattutto Willy Ronis e Henri Cartier-Bresson, che furono per lui di grane ispirazione: “Bresson era già un mito e aveva appena fatto ‘Images à la Sauvette’ da cui ho imparato moltissimo: è stata la mia bibbia. Lavoravo come cameriere in hotel ma il pomeriggio andavo a scattare. I baci mi appassionavano: io ammetto di essere un guardone. Il fotografo dev’essere un guardone, curioso di tutto!”
Negli anni, Berengo Gardin ha accumulato una quantità monumentale di fotografie, che oggi fanno parte del suo importante archivio. Spesso, nelle interviste, il fotografo racconta di come il suo archivio sia per lui una risorsa fondamentale e di come in molti casi, per alcune monografie, si ritrovi a stampare foto scattate 50 anni fa, che all’epoca non considerava “materiale buono”. Oggi l’archivio raccoglie oltre un milione di scatti: “C’è tutto quello che ho fatto. L’archivio è come il buon vino, negli anni migliora”.
Il primo libro che pubblica è, ovviamente, su Venezia. La sua Venezia, quella intima e meno conosciuta: Venise des Saisons, nel 1965. Dopo averlo proposto a 8 editori italiani, fu il caso a fargli incontrare la persona giusta in occasione di una sua mostra all’Istituto di Architettura di Londra, un editore della Guilde du Livre di Losanna, che all’epoca era la casa editrice più importante in Europa per la stampa fotografica.
Il lavoro di Berengo Gardin è incentrato sull’indagine sociale: “Il mio lavoro non è assolutamente artistico” racconta Berengo Gardin “e non ci tengo a passare per un artista. L’impegno stesso del fotografo non dovrebbe essere artistico, ma sociale e civile”. Uno dei suoi progetti più importanti è quello dei manicomi, che aiutò a far passare la legge Basaglia che nel 1978 dispose la chiusura dei manicomi, segnando una svolta totale nel mondo dell’assistenza ai pazienti psichiatrici.
Diversi anni prima, mentre Basaglia avviava già le sue prime esperienze anti-istituzionali nei confronti nell’ambito della cura dei malati mentali, Berengo Gardin insieme a Carla Cerati realizzavano i primi reportage nei manicomi, che poi divennero parte del libro “Morire di classe”, che diede grande contributo alla battaglia per l’approvazione della legge 180, usando quelle immagini forti e di denuncia sullo stato dei pazienti nelle strutture.
“Ogni volta che facevamo foto spiegavamo ai malati perché volevamo fotografarli e loro capivano, ci davano la loro approvazione. Cercavo di non fotografare il malato e “la malattia per la malattia” ma la condizione nella quale era costretto il malato: alcune cose che succedevano erano già proibite per legge ma venivano comunque fatte.”
Un altro importante filone è stato quello legato agli Zingari: attraverso una sovvenzione dell’Unione Europea per aiutare le minoranze, Berengo Gardin trascorse diversi mesi nel campo nomadi di Firenze, dove testimoniò le loro vite ed usanze, sempre con un occhio critico nei confronti dei giudizi e dell’indifferenza della società e allo stesso tempo con un obiettivo riservato, capace di cogliere la realtà: “gli zingari sono sempre prevenuti nei confronti della macchina fotografica proprio perché, solitamente, si fotografa il lato negativo della realtà. Per me è stato difficile entrare in questo mondo, ma quel che mi resta da questo reportage è la generosità, la poesia e la musica”.
Tanti altri i temi affrontati da Gianni Berengo Gardin negli oltre 60 anni di carriera (nel 2020 ha compiuto 90 anni): la religione, il lavoro, la Olivetti, le donne (“Amo moltissimo le donne, da sempre. Prima viene la Leica, poi le donne, poi i gelati. È più forte di me!”), il Sessantotto, i cantieri in collaborazione con Renzo Piano, la “nuova Venezia” – quella delle navi da crociera e del turismo fuori controllo, l’Italia nelle sue mille sfaccettature e le persone che la abitano e la vivono.
Tante di queste storie sono raccontate nei ben 18 scatti di Gianni Berengo Gardin in asta il 5 e 6 maggio in occasione di Fotografia: Under 1K. Una selezione di opere del grande fotografo verrà infatti proposta in vendita con una base d’asta inferiore ai 1000 euro, un’occasione unica per scoprire di più sulla sua ricchissima produzione e sul suo impegno sociale nel nostro paese, magari regalandovi uno dei suoi celebri scatti!
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mercoledì 05 maggio 2021 e giovedì 06 maggio 2021, ore 15:00 • Milano