Immaginate che un singolo edificio possa dispiegare le sue pareti per contenere al suo interno intere vie, palazzi, grattacieli, fabbriche, fiumi, parchi pubblici, cartelloni pubblicitari. Non ce la fate? Vi sembra impossibile?
E invece è proprio questa la percezione che si ha passeggiando per le sale di Palazzo delle Esposizioni a Roma che ospitano la personale di Gabriele Basilico.
Una camminata che conduce all’attraversamento di una megalopoli composta da Milano, Genova, Roma, Berlino, Mosca, Hong Kong, Beirut e tante altre: un giro del mondo in un tempo ben minore degli 80 giorni impiegati dal londinese Phileas Fogg nel famoso romanzo di Jules Verne.
Tutto questo grazie a Gabriele Basilico, un fotografo che nell’arco di tutta la sua carriera ha attraversato il globo scegliendo le metropoli come soggetto preferenziale dei suoi scatti:
“poiché la città è un mix di situazioni diverse, opero una selezione decido cosa fotografare e cosa escludere dall’inquadratura. È lì che resto in attesa che la città mi racconti le sue storie, che riaffiorino i legami con la memoria del passato suo ma anche di altre città”.
La Storia e le “storie” hanno un valore importantissimo nella produzione del fotografo milanese. Maestro riconosciuto a livello mondiale, le sue architetture sono infatti i luoghi in cui TUTTO accade, gli edifici sono nel contempo le scenografie e le testimonianze di chi le percorre e le vive. Come ad esempio gli operai che animavano le fabbriche disperse sul territorio milanese e ritratte da Basilico nel suo primo lavoro tra il 1978 e il 1980.
Edifici raffigurati frontalmente in un bianco e nero algido e pulitissimo, sembrano impettiti nell’orgoglio di essere utili al genere umano, e quasi ricordano i ritratti scattati agli scolari in grembiulino alle elementari, il cui vanto e l’emozione della prima foto in “divisa” li portava a irrigidirsi, innalzarsi e gonfiare il petto.
Un lavoro, quello di Basilico, solo apparentemente tassonomico, clinico e distaccato, come lui afferma:
“Arrivo un po’ prima o dopo un accadimento”.
Ne è un esempio la serie realizzata nel 1991 a Beirut, quando prende parte, assieme ad altri fotografi del calibro di Robert Frank, Josef Koudelka, alla Mission Photographique, campagna nata con lo scopo di testimoniare la città al termine della guerra. Il fotografo si sofferma sugli edifici martoriati, i palazzi con le maggiori cicatrici destinati a essere demoliti, e testimonia quello che non sarà più. Un lavoro per la memoria e la ricostruzione; i suoi scatti saranno infatti utilizzati dai progettisti per la riedificazione del centro della capitale libanese.
Basilico apre il proprio “occhio” su ogni città e suo angolo allo stesso modo, indipendentemente che si tratti del centro o della periferia: il bivio che da un lato conduce verso la campagna, dall’altro alla città con un angolo di muro scrostato, ma con una freccia che punta dritta al cielo o una stazione ferroviaria con la sagoma di un uomo che risale verso di noi e anche qui troviamo due vie: un treno che parte e uno che arriva ma quale dei due faccia cosa non ci è dato sapere.
Nelle sue esplorazioni metropolitane Basilico ha prediletto due punti di vista: il primo a livello strada, lo sguardo dell’uomo comune, quello che gli permette nel contempo composizioni frontali ma con una dinamicità latente costruita dall’inquadratura grazie a un sapiente posizionamento del cavalletto rispetto all’intersecarsi delle vie (come nella foto di copertina di questo articolo / Lotto 16 – Gabriele Basilico, Berlino, 2000). Il secondo dall’alto, una visione quasi a volo d’uccello, maggiormente contemplativa, con tempi di ripresa e di scatto più lunghi, i rumori attutiti, la città gli si mostra nei suoi tanti pieni e vuoti dilaganti concedendogli di viverla totalmente.
Un maestro del bianco e nero, tecnica con cui infatti esordì, ritenendo il colore uno strumento spettacolarizzante della realtà, ma di cui non disdegna l’uso saltuario come dimostra Roma del 2007, una delle rare fotografie in cui compaiono delle sagome di persone, un uomo e una donna, anche se dispersi nel paesaggio diventano dei semplici elementi come gli alberi autunnali, la boa rossa, il Tevere o la chiesa. D’altronde, la presenza umana negli scatti di Gabriele Basilico, nonostante la palese assenza, è una presenza dichiarata, quasi urlata essendo tutto ciò che ritrae fatto dall’uomo.
Un profondo intellettuale che nelle proprie opere ha saputo spaziare visivamente dall’astrattismo di De Stijl, con composizioni alla Mondrian, a un vedutismo alla Guardi o Canaletto, il tutto arrotondato da uno spirito alla Mario Sironi di cui Gabriele Basilico era un dichiarato estimatore, come poteva essere diversamente avendo dedicato entrambi la propria vita alla rappresentazione della città.
Italo Calvino, nel suo romanzo Le Città Invisibili, mette in bocca al suo protagonista Marco Polo queste parole:
“Le città credono d’essere opere della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma le risposte che dà a una tua domanda”.
Ognuno di noi potrà trovare una risposta personale
osservando le “Città reali” del narratore visivo Gabriele Basilico.
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martedì 17 marzo 2020, ore 17:00 • Milano