Secondo l'erudito Zannandreis, il pittore Sebastiano Lazzari "si distinse e giunse al più alto grado di perfezione" nell'esecuzione di trompe-l'oeil, chiamati dal biografo veronese "finti assi" poiché "il loro fondo, o sia campo, è finto di tavole di pino piceo, detto volgarmente pezzo, a cui stanno appoggiati utensili, mobili e stromenti di musica di varia sorte, con carte appese e altro; le quali tutte cose giunse il Lazzari a disporre ne' suoi quadri con somma grazia ed a colorire con intelligenza vera di chiaroscuro e con una verità di tinte forti e lucide, in modo che appariscono all'occhio non finte, ma naturali" (D. Zannandreis, Le vite dei pittori scultori e architetti veronesi, Verona 1891, pp. 422-423).
I due dipinti offerti nel lotto sono tra i massimi esempi di "finti assi" e ben mostrano tutta l'abilità e l'ingegno dell'artista nella creazione di queste scene impostate su un accostamento di oggetti costruito con fantasia ma, al tempo stesso, dipinto con tanta adesione al naturale da rendere l'illusione ottica la vera protagonista. E così, la perfetta resa mimetica di queste composizioni d'invenzione conferisce alle opere un impatto visivo surreale, quasi metafisico.
Due immagini delle tele sono presenti nell'archivio della Fototeca Zeri, nel quale vengono identificate - come nel catalogo Finarte del 1990 - con quelle provenienti dalla collezione Serpini, poi Salvetti, di Verona e citate dallo Zannandreis che ricorda che "due quadri di questo autore si custodiscono, tra i più rari, nella galleria Serpini, ora Salvetti, che sono in vero rarissimi in questo genere. Difatti erano le sue cose sì somiglianti al vero che l'occhio ne restava ingannato, e la mente delusa nel credere essere naturale quello che vedeva dipinto" (D. Zannandreis, ibid., p. 423).
Nel corso della sua attività Lazzari mantiene sostanzialmente invariato lo schema compositivo centrale dei suoi trompe-l'oeil, in cui la scena si suddivide tra il piano orizzontale, costruito con nature morte più tradizionali (strumenti musicali e scientifici oppure frutti, fiori e animali) e quello verticale delle assi di legno sullo sfondo dove gli oggetti più diversi appaiono come sospesi nello spazio e disposti con maggiore libertà (quadri, mappe, oggetti d'uso quotidiano, armi, carte, ecc...).
Nei due dipinti in esame campeggiano al centro vari strumenti musicali: nel primo, un mandolino, un trombone, un clavicembalo e un oboe e, nel secondo, un violino con archetto, una chitarra e un flauto, affiancati da una sfera armillare. Nel primo quadro sono anche presenti precisi riferimenti a personaggi del mondo della musica; compaiono, infatti, sul clavicembalo, il nome di Alessandro Trasontini - costruttore di organi e di strumenti da tasto attivo a Venezia nel secolo XVI - e, sullo spartito, quello di Giovanni Battista Lampugnani, compositore milanese attivo anche a Venezia nel secolo XVIII. Sulle pareti di legno di entrambi i dipinti si distribuiscono in modo casuale gli oggetti più curiosi (una ricevuta del gioco del lotto, chiavi, carte, forbici, un quadro, armi, un calendario mensile, il foglio di un libro di astronomia, una busta, degli occhiali), intrecciati con alcune sequenze numeriche, come se l'artista volesse rimandare a un significato nascosto, se non ludico.
Le opere trovano un confronto particolarmente stringente con le due tele, sempre in pendant, passate in asta da Christie's nel 2013 (Londra, 3 luglio 2013, lotto 224, aggiudicati a £160.000), nelle quali si ritrovano anche la stessa firma dissimulata sul cartiglio e l'iscrizione con il nome di Alessandro Trasontini sul clavicembalo.
Sebastiano Lazzari è stato sicuramente l'esponente più significativo di quel gruppo di pittori che in Veneto, nella seconda metà del Settecento, si specializzò nel genere del trompe-l'oeil, sull'esempio delle invenzioni seicentesche di Andrea Domenico Remps e Carlo Sferini. Tra questi si ricordano, in particolare, Francesco Bossi, il monogrammista G.F. e Giovanni Battista Bertoldi, da considerarsi seguaci del Lazzari.
Per un profilo storico-artistico di Sebastiano Lazzari, si veda: E. Safarik e F. Bottari, Sebastiano Lazzari in La Natura morta in Italia, a cura di F. Zeri e F. Porzio, Milano 1989 (vol. I), pp. 378-379.