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Subiaco, [Conradus Sweynheym and Arnoldus Pannartz], 29 ottobre 1465. In 2°. 338 x 230 mm. 182 di 186 carte non numerate, a10 [b2 mancante] c-h10i12k-p10q12r-t10 mancano i due fogli di errata [fascicolo b] impressi successivamente ed assenti in molti esemplari e le due carte bianche finali [t9-10]. Testo su una colonna di 36 linee, caratteri 120 SG e 120 Gk. Capilettera dipinti in inchiostro rosso e blu, titoli delle varie sezioni manoscritti in scrittura corsiva e rubricati in rosso, 9 SPLENDIDE MINIATURE AD APERTURA DEI DIVERSI LIBRI a bianchi girari con lettera a foglia d’oro su sfondo blu e decorazioni in rosa e verde, si tratta delle lettere M-Q-V-C-N-Q-B-A e Q, glosse marginali sbiancheggiate ai margini di alcune carte, due strappi marginali restaurati a c.hr e h6r, restauro al centro della carta s7 con recupero manoscritto di alcune lettere, risarcimenti al margine esterno delle ultime 10 carte, la carta del colophon da altro esemplare e restaurata, legatura romantica della metà del XIX sec. in pelle marrone con al dorso impresso in oro "Lactantius mcccclxv."
IL PRIMO LIBRO STAMPATO IN ITALIA.Lasciarono la Germania ancora giovani, negli anni sessanta del Quattrocento, con una meta precisa, forse già Roma. Chiamati presumibilmente dal cardinale Nicolò Cusano, gli stampatori tedeschi Konrad Sweynheim e Arnold Pannartz, che erano chierici rispettivamente delle diocesi di Magonza e di Colonia, fra il 1464 e il 1465 scesero dalla Germania per recarsi a Roma e impiantarvi una tipografia. La morte inattesa del Cusano nell'estate 1464, e forse altri motivi che oggi sfuggono, convinsero i due chierici tedeschi a fermarsi a Subiaco, in uno dei più importanti monasteri benedettini. A Santa Scolastica trovarono una ricca biblioteca e monaci, perlopiù tedeschi, disposti a collaborare nell’impresa di avviare quella “divina ars...artificialiter scribendi” in Italia, nella culla della cristianità e dell’umanesimo. Qui lavorarono per qualche anno, scegliendo di adattare la loro sensibilità grafica a quella italiana: il che voleva dire ridisegnare il carattere gotico adeguandolo alle rotondità del romano. La vera innovazione della stampa è tutta nel disegno/realizzazione di un alfabeto a caratteri mobili che potesse plasmarsi alle infinite combinazioni create dalle lettere, per dar vita a infinite pagine/libri. Dopo un primo esperimento di poche carte destinato allo studio dei giovani, quel Donatus svanito nel nulla, mandarono in stampa tre opere di Lattanzio nell’ottobre del 1465. Il testo non era scelto a caso, perché quelle opere rispondevano perfettamente alla temperie culturale e religiosa di quegli anni, tra ciceronianesimo, provvidenzialismo cristiano, fusione tra cultura classica e cristiana. Ne tirarono 275 copie, oltre 40 sono ancora superstiti. Alcune, come la presente, vennero arricchite a Roma di un corredo illustrativo standardizzato che prevedeva la decorazione canonica a bianchi girari delle capitali, decorazione realizzata in una delle tante botteghe di miniatori attivissime nella capitale. Ma Subiaco doveva lasciare necessariamente il posto a Roma, dove il loro nuovo protettore Giovanni Andrea Bussi attendeva ansioso di illustrare al mondo - da sempre lì convenuto - la nuova mirabile invenzione. Portarono con sé tutti gli esemplari a loro spettanti degli iincunaboli stampati a Subiaco e si trasferirono a Roma alla fine del 1467. E già a novembre il vescovo di Massa Leonardo Dati dichiarava di aver acquistato a Roma una copia del De civitate Dei di S.Agostino, “da quegli stessi teutonici che lì dimorano, i quali non usano scrivere libri ma li stampano con le forme”. Il Lattanzio di Subiaco è senza dubbio il più celebre libro nella storia della tipografia italiana. Il primo libro datato mai stampato in Italia e una delle sole quattro edizioni impresse dagli allievi di Gutenberg nella loro prima stamperia, quella di Subiaco, che è anche la prima sede fuori dalla Germania a disporre di una tipografia dotata di strumenti interamente realizzati in loco. L’importanza di questa edizione risiede anche nel fatto che si tratta «della seconda stampa italiana con caratteri greci. L’uso dei caratteri greci si era fatto necessario poiché Lattanzio nel De divinis institutionibus aveva riportato in lingua originale alcune citazioni, come quelle dell’Asclepius o Lógos téleios; i tipi greci però devono essere stati forniti, o fabbricati, solo durante la composizione, poiché le prime carte mostrano ancora bianchi gli spazi corrispondenti, mentre in seguito il testo greco si alterna regolarmente a quello latino» (S. Gentile - C. Gilly, Marsilio Ficino e il ritorno di Ermete Trismegisto, Firenze 2001, pp. 160-61). Goff L1; HC 9806*; Pr 3288; BMC IV 2; IGI 5619. La presente copia è venduta con un Attestato di Libera Circolazione.
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