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PROVENIENZA: Francia, collezione privata. La presente opera è stata datata dal dott. Bruno Chenique agli anni 1820-1823, in probabile corrispondenza con il periodo inglese di Théodore Géricault. Del soggiorno in Inghilterra del pittore abbiamo poche informazioni, tanto che lo stesso Charles Clément, primo catalogatore dell’opera del maestro di Rouen, lamentava come la maggior parte delle opere risalenti a quel periodo fossero sconosciute (1). La lista delle opere note databili al soggiorno Oltremanica, dove Géricault si recò per seguire l’esposizione della sua opera più nota, La zattera della Medusa del Louvre, è tuttora alquanto breve. A spiccare fra esse sono senz’altro il Derby di Epsom custodito al Louvre e il Cavallo spaventato da un fulmine della National Gallery di Londra. Per il dott. Chenique l’opera qui offerta si presenterebbe come loro controparte in un ideale trittico che rappresenti “una sottile allegoria equestre delle età della vita” (2). Un’interpretazione che sarebbe avvalorata dal legame iconografico con una serie di opere, in particolare disegni, momenti di studio per un ciclo di litografie che avrebbe dovuto rappresentare il ciclo della vita di un cavallo arabo e che non vide mai la luce. In particolare il disegno conservato presso la Yale University Art Gallery a New Haven è utile per rendere l’idea di come sarebbe dovuta apparire la serie nel suo insieme: vi sono infatti rappresentate, su un unico foglio, dodici scene inquadrate come fossero fogli di un album. In esse Géricault ritrae la vita di un cavallo dalla sua nascita fino alla morte intitolandolo “corso d’anatomia / del cavallo a uso / dei pittori e degli amatori” (3) e raffigurando in almeno due casi una giumenta. In una scena vediamo infatti una sorta di studio preparatorio per la litografia Giumenta Egiziana (4), mentre nell’altra troviamo un puledro presentato a sua madre. Un’eco del sentimento materno che traspare da questa scena è ravvisabile nel rapporto tra la giumenta qui rappresentata nella sua maturità e lo stalliere che la affianca. Per il dott. Chenique l’altezza ridotta dello stalliere a confronto con la giumenta tenderebbe a sottolinearne il rapporto “filiale” nei confronti dell’anziano animale. L’atmosfera placida e serena di questo interno di stalla avrebbe dunque il suo centro nevralgico proprio nel destriero, ritratto dal pittore mentre “troneggia, come una regina nella sua scuderia”. “La composizione monumentale, l’occhio vivo e reso magnificamente della giumenta, la messa in scena del dipinto lasciano intuire un glorioso passato” dell’animale, mentre “la fine osservazione psicologica” che traspare dal suo muso fa sì che il dipinto si configuri come un vero e proprio ritratto (5). Non a caso spesso i cavalli messi da Géricault al centro di tante sue opere, a testimonianza di quella passione che gli sarebbe stata fatale, non sono dei semplici “tipi” animali, ma degli individui ben precisi di cui forse egli per primo raffigura carattere e temperamento. Oltre alla resa psicologica dell’animale e alla particolare atmosfera di “calma grandezza” di neoclassica memoria, a dominare il dipinto è “lo straordinario trattamento pittorico del manto baio” della giumenta. Ad esso corrisponde “l’incredibile modernità dei tocchi” di pennello con cui è resa la divisa e il cappello dello stalliere, così efficacemente sintetici da far citare al dott. Chenique i modi di Edouard Manet, che del resto condivise con Géricault la frequentazione delle sale del Louvre e lo studio dei medesimi antichi maestri (6). L’opera sarà inclusa in Catalogue raisonné des tableaux de Théodore Géricault attualmente in preparazione a cura di Bruno Chenique. 1. Charles Clément, Géricault. Étude biographique et critique avec le catalogue raisonné de l’œvre du maître, Parigi 1879, pp. 225-226. 2. Bruno Chenique, Reims 2016, p. 5. 3. Bruno Chenique, 2016, p. 3. 4. Germain Bazin, Théodore Géricault. Étude critique, documents et catalogue raisonné, tomo VII, Regard social et politique: le sejour anglais et les heures de souffrance, 1997, p. 187, n. 2451 (ill.). 5. Bruno Chenique, 2016, p. 4. 6. Bruno Chenique, 2016, p. 5.