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Libri, Autografi e Stampe

venerdì 15 dicembre 2023, ore 11:00 • Roma

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Alessandro Cariero

Breve et ingenioso Discorso contra l'Opera di Dante, 1582

Stima

€ 400 - 600

Lotto venduto

€ 452

I prezzi di vendita comprendono i diritti d'asta

Informazioni

Padova, appresso Paulo Meietto, 1582. In 4°. Marca tipografica raffigurante due galli, uno dei quali becca chicchi di miglio; al centro la pianta con le pannocchie, in cornice figurata con motto, esemplare perfetto nella sua legatura ottocentesca da amatore in mezzo marocchino verde a cartone marezzato. Ordinate note marginali di mano coeva lungo tutto il testo. firma a matita al contropiatto del libraio Giuseppe Martini

Note Specialistiche

"L'opera si inserisce nel dibattito letterario vivo in quegli anni, soprattutto in ambiente toscano (e il C. fece infatti un viaggio proprio a Firenze e a Siena attorno al 1580), pro o contro la Divina Commedia. La prima accusa che il C. muove a Dante è di non aver rispettato nessuno dei dettami aristotelici. In particolare manca l'imitazione e l'unità d'azione. Queste le tesi fondamentali della prima parte del "libello", ove il C. indugia su un esame dei "generi letterari". Fra le molte notazioni minute che farebbero catalogare quest'opera fra i prodotti di un "pedantesco" aristotelismo emergono due motivi di viva attualità. Nella nascente querelle des anciens et des modernes italiana e poi francese, il C. si schiera, come lo Speroni, a favore dei primi. Delle favole "quelle che più dilettano" sono "secondo noi ancora le antiche" (p. 34). Così come nell'uso del volgare si devono condannare in Dante "nuove voci e vocaboli nuovi" (p. 91). Altro spunto interessante è la sua posizione nel dibattito, proprio in quel tempo vivace entro i confini della Repubblica, sul valore della storia. Nel racconto delle imprese lo storico "niente deve innovare", mentre nelle orazioni può ben servirsi "del probabile e del verosimile" (p. 14). Oggetto principale delle "historie" deve essere comunque (e su questo concetto il C. insiste molto) la verità. Nel definire gli scopi della storia egli pare riagganciarsi alla discussione suscitata dai famosi dialoghi di Francesco Patrizi, Della historia, editi per la prima volta a Venezia nel 1560. Sembrerebbe, infatti, attaccare la concezione scettica del Patrizi con le sue accuse contro "coloro, che han rifiutato l'historia haver per suo scopo e fine l'utilità, et la giocondità" (p. 19). Un altro ordine di considerazioni appare nella seconda parte del Breve et ingenioso discorso…, quella più specificamente dedicata all'opera di Dante. Qui il C. si diffonde sulla moralità che è "parte principale della poesia" (p. 84). La moralità è il primo fine di quella poesia che "esser deve il documento di buone creanze, e di costumi gentili, i quali s'egli pianta… negli animi o con vere o con imaginate narrationi, in ogni modo l'intento suo ottiene" (pp. 51 s.). Questa missione "morale" del poeta assume in sé formule caratteristiche dell'etica barocca. Il poeta deve essere "giudicioso"; fra le sue doti principali devono emergere la "prudenza" e la "misura" (p. 87). " Treccani On Line, sub vocis.

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