Stima
€ 7.000 - 9.000
Lotto venduto
€ 8.263
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Informazioni
Insieme di 12 disegni eseguiti a china su carta, c.ca mm. 240 x 372, [sec. XVIII], fogli sciolti, la composizione di ciascuna tavola prevede al centro la scena con i personaggi, solitamente una donna ed un uomo, entro cornice di filetto, al margine laterale sinistro manoscritta, la descrizione dettagliata degli abiti della donna ed a sinistra quelli dell'uomo, in calce al foglio l'indicazione della località, qualche lieve macchia, leggera brunitura.
Note Specialistiche
L'abbigliamento dei ceti popolari rappresentava un aspetto identificativo ricco di varietà e sfumature che, grazie alla cultura “illuminista” settecentesca, attirò l'interesse degli intellettuali e dei rampolli delle famiglie nobili e benestanti europee che intraprendevano il “grande viaggio”, il cosiddetto Grand Tour, che si concludeva nel territorio napoletano alla scoperta delle vestigia di Ercolano e Pompei e di tutto ciò che era antico, mitico e pittoresco. Di conseguenza, la ricerca di “ricordi” per testimoniare la visita di quei luoghi ricchi di suggestioni e primitiva bellezza, stimolò la produzione di disegni, acquerelli, gouaches e incisioni a stampa, dapprima con le raffigurazioni di vedute e, poi, anche di costumi popolari. Ci fu, però, un momento che impresse una vera e propria svolta nel modo di rappresentare i costumi popolari meridionali. Fu quando, verso la fine del '700, Ferdinando IV di Borbone, sulla scia del crescente interesse per questo tema, pensò di sfruttarlo commercialmente per decorare i servizi di porcellana prodotti dalla Real Fabbrica di Capodimonte. Il sovrano napoletano era orgoglioso delle tradizioni del suo popolo, del quale condivideva molte abitudini e anche il linguaggio. Non a caso, aveva già introdotto nell'arte presepiale figure abbigliate con vestiture settecentesche. Pertanto, decise di sostenere una campagna di ricognizione nelle Province del Regno per restituire “dal vero” le varie fogge del modo di vestire degli abitanti dei vari territori, fino a quel momento proposte in maniera poco realistica, prevalentemente come “souvenir”. Il compito di rilevare dal vero le fogge degli abiti in uso nel Regno di Napoli fu affidato nel 1783 a due tra i più noti pittori “di genere” dell'epoca: Alessandro D'Anna e Saverio Della Gatta. Ben presto, però, Della Gatta fu sostituito da Antonio Berotti e, poi, Stefano Santucci sostituì D'Anna. Negli anni successivi subentrarono altri artisti, come Giacomo Milani, Antonio Cioffi ed altri (per la complessità del lavoro e le difficoltà organizzative, le ricognizioni durarono quasi quindici anni). Le raffigurazioni furono eseguite con la tecnica pittorica detta a “guazzo”, e gouache furono dette le rappresentazioni dipinte con questa tecnica simile all'acquerello. Tutte le “gouache” prodotte, incluse quelle originarie dirette alla Real Fabbrica di Capodimonte, non furono eseguite “in loco”, ma sviluppate successivamente, o dagli autori stessi o da altri esecutori, sulla base delle bozze e degli appunti elaborati durante le ricognizioni. Nei soggetti realizzati, gli autori proposero un abbigliamento arricchito da accessori raffinati, aggiunti ad imitazione delle classi più elevate che, quindi, non forniscono indicazioni sulla reale condizione sociale dei personaggi ritratti che, peraltro, risultano poco rappresentativi delle classi rurali dell'epoca. Col tempo, la crescente richiesta di questo tipo di “souvenir”, innescò un rapido processo di diversificazione delle tecniche di rappresentazione delle immagini che portò all'affermazione delle incisioni a stampa che consentivano tirature elevate e costi contenuti rispetto alle singole produzioni pittoriche.