E. Martini, La pittura veneziana del Settecento, Venezia 1964, p. 78, p. 216 n. 166 e tav. 153;
F. Zava Boccazzi, Pittoni. L’opera completa, Venezia 1979, p. 143 (citato)
Tradizionalmente attribuiti a Jacopo Amigoni nella collezione di provenienza, il presente dipinto (lotto 189) e quello al lotto successivo (lotto 190) sono eccezionali prove pittoriche, già note in letteratura, di Giambattista Pittoni, felicissime espressioni del suo squisito gusto rococò che qui, negli eleganti corpi di Venere e Diana, coniuga la più dolce femminilità con un raffinato erotismo, immortalando una bellezza senza tempo.
Le opere furono pubblicate, con illustrazioni in bianco e nero, da Egidio Martini nel 1964 nel suo volume dedicato alla pittura veneziana (E. Martini, La pittura veneziana del Settecento, Venezia 1964, p. 78, p. 216 n. 166, tav. 153 e fig. 149) e successivamente citate nella monografia di Pittoni a cura della professoressa Zava Boccazzi (F. Zava Boccazzi, Pittoni, Venezia 1979, p. 143).
Inediti al momento della pubblicazione di Martini, lo studioso segnala i dipinti in collezione privata romana e ne colloca l’esecuzione attorno al 1755, quindi vicino all’Annunciazione del 1757 alle Gallerie dell’Accademia di Venezia.
Zava Boccazzi, invece, che precisa di conoscere le tele solamente tramite le fotografie di Martini, le accosta, per evidenti affinità iconografiche e compositive, alla serie di soggetti mitologici a cui Pittoni si dedicò negli anni Venti del Settecento. Fulcro di questo repertorio è la Diana con le Ninfe dei Musei Civici di Vicenza (inv. A 97), alla quale si aggiungono Giunone e Argo e Venere e Marte di collezione privata (F. Zava Boccazzi, Pittoni, p. 143, n. 113 e 114, figg. 65-66), Diana ed Endimione dell’Hermitage di San Pietroburgo (inv. GE-2451) ed altre due versioni di Venere e Marte, una a Londra (ibidem, n. 90, fig. 85) e una al Louvre di Parigi (inv. MNR 668).
Per la Diana e la Venere, qui offerte all’incanto, che pur presentano un gusto indubbiamente molto affine a questa serie mitologica, la studiosa suggerisce però una datazione più avanzata dovuta al “panneggiare fitto e morbido”, cifra stilistica della metà del quarto decennio (ibidem, p. 143).
I protagonisti delle due composizione trovano efficaci confronti non solo nelle scene mitologiche appena citate ma anche in altre celebri composizioni di Pittoni. Si pensi, per esempio, ai putti che animano gli sfondi delle numerose opere sacre eseguite dal maestro veneto e che, per fattezze e tratti stilistici, richiamano gli amorini dei nostri dipinti: in particolare, il volto dell’amorino nella Diana ritorna pressoché identico nella monumentale pala con San Girolamo, San Pietro di Alcantara e altro santo della National Gallery of Scotland di Edimburgo, qui quasi nascosto sullo sfondo in alto a sinistra; anche l’amorino bendato che svolazza attorno a Venere è un motivo ricorrente nella produzione dell’artista, più volte replicato con variazioni di posa, per esempio nell’Ercole e Onfale di Palazzo Corsini a Roma e nel Bacco e Arianna del Louvre. Familiare all’interno della produzione pittorica di Pittoni è anche il fedele cagnolino di Diana che ritroviamo nella stessa posa sia nel San Rocco della Staatsgalerie di Stoccarda (ibidem, fig. 152) sia nella Diana ed Endimione in collezione privata (ibidem, fig. 182) e, con alcune variazioni, in molte altre opere.
Ritenute disperse da Zava Boccazzi nel 1979, la Venere con amorini (lotto 189) e la Diana dormiente con amorino (lotto 190) riemergono oggi sul mercato insieme a una terza opera raffigurante Apollo suona la lira con due putti (lotto 191), di pari qualità esecutiva e certamente appartenente alla medesima serie, ma che non trova riscontri in bibliografia.