Collezione Dott. Angelo Signorelli, Roma;
collezione privata.
E. Cecchi, A. Venturi, Armando Spadini, Milano 1927, n. 204 e 205 (il retro), tav. LXXXIII.
L’opera qui offerta risale al 1914, quindi solo quattro anni dopo il trasferimento a Roma dell’artista dalla natia Firenze. L’impatto con la Capitale non fu per lui facile, ma è proprio in questi anni che, con la partecipazione alle esposizioni della Secessione Romana del 1913 e poi del 1915, la sua posizione nel panorama artistico romano inizia a consolidarsi, grazie anche al sostegno di collezionisti accorti come il Dott. Angelo Signorelli, alla cui collezione è appunto appartenuto il presente doppio olio su tela.
“Noi si ragiona e Spadini dipinge”. Con questo fulmineo inizio si apre il “ritratto” di Armando Spadini pubblicato da Ugo Ojetti nel 1923 [1], solo due anni prima della prematura morte del pittore fiorentino. Vi riassume così efficacemente la posizione defilata ma attiva di Spadini rispetto al panorama artistico a lui contemporaneo: lontano dalle mode e per questo anche fuori dal tempo, nonostante la formazione con Fattori e le esposizioni con la Secessione Romana prima e con il gruppo di Valori Plastici poi. L’arte di Spadini è caratterizzata non a caso da una tendenza al dato quotidiano e familiare, dalla predilezione per il ritratto e la rappresentazione di scene intime e casalinghe spesso ambientate nel giardino del suo villino ai Parioli. La servetta, con il suo rovescio quasi altrettanto finito, ne è un perfetto esempio. Sono difatti due ritratti di grande immediatezza e spontaneità in cui i bambini raffigurati si offrono allo sguardo del pittore con affettuosa familiarità. La tavolozza è quella tipica di Spadini, chiara, luminosa e vibrante come le pennellate materiche che tradiscono l’ammirazione del pittore per Antonio Mancini e mantengono saldi i volumi pur nella luce brillante in cui sono immerse le figure. Il taglio è ravvicinato, con la mano della servetta appena celata dalla cornice ed il grappolo di pizzutello sul retro che sembra quasi volerne fuoriuscire. “…questa capacità di tornare ad amare, a sentire, a vigorosamente rappresentare la commossa umanità attorno e i volti e i gesti […], questa volontà di ricollocare l’uomo in primo piano...” [2], acutamente notata da Ojetti, appare dunque qui in tutta la sua brillante efficacia.
[1] U. Ojetti, Ritratti d’artisti italiani. Seconda serie, Milano 1923, p. 173.
[2] U. Ojetti, Milano 1923, pp. 180-181.