Informazioni
cm 70,3 x 60,5
firmato in basso a sinistra: A Mancini
Al verso, sul telaio: numero “1397” ed etichetta della ditta di imballaggio “Nava Eugenio”; timbro della “Galleria Bolzani” con il numero “157” ed etichette del “Salone d’arte Michelazzi” di Trieste e della “Galleria Pesaro” di Milano.
Provenienza
Esposizione
Bibliografia
C. Virno, Antonio Mancini / Catalogo ragionato dell’opera, vol. I, La pittura a olio, Roma 2019, p. 452, n. 859 ripr.
Riferibile all’inizio degli anni Venti del Novecento questo dipinto mostra una suggestiva immagine femminile, posta in controluce accanto a una finestra. L’ambiente in cui si trova è completamente buio ma rischiarato da una forte luce naturale proveniente dall’esterno. La donna, in una posa studiata e con la testa girata verso lo spettatore, guarda di lato e accenna ad un sorriso tenendo una mano alzata e sostenendo, con l’altra, una teca di vetro. Il volto quasi completamente in ombra e l’abito scuro, con toni dal blu intenso al nero, risaltano sul fondo chiaro e luminoso. Un sottile fascio di luce delinea le forme del corpo e della testa nel lato verso la finestra. Al di là di questa, nella parte alta, macchie di verde intenso suggeriscono la presenza di un fondo paesaggistico con alberi e fronde. L’opera fu realizzata dal pittore nello studio di viale Liegi a Roma dove visse con i nipoti nella fase avanzata della sua vita prima di trasferirsi, nel 1926, presso la casa studio fatta costruire in via delle Terme Deciane all’Aventino. In quadri come questo Mancini mostra apertamente di voler superare i dettami della pittura ottocentesca e di aver ampiamente aderito alle novità portate dal Novecento. Questo, tuttavia, rimanendo sempre fuori dagli schemi e nell’ottica di un’assoluta autonomia e originalità non ascrivibile ad alcuna corrente o movimento artistico.
La materia pittorica a tratti corposa, si alterna a porzioni di colore quasi liquido o addirittura assente in cui il pittore lascia la tela a vista. La pennellata è vibrante, frammentaria esegue l’andamento del noto e ben visibile reticolo che Mancini pone sulla tela. Con questo metodo usa suddividere il supporto in piccole porzioni da dipingere una per una, avendo a riferimento l’altro reticolo con lo stesso andamento di fili, posto davanti al modello. La trama di quest’opera, con fitte e frastagliate campiture di colore, è del tutto simile a quella di un arazzo. Esaminandolo da vicino vediamo un dipinto quasi astratto, di sconcertante modernità. Tuttavia, per poterne cogliere appieno ogni particolare – come lo stesso Mancini suggerisce per i quadri della sua maturità – bisogna porsi aduna distanza di almeno tre volte l’altezza. Si definiscono così chiaramente i tratti del volto, la rotondità e la trasparenza della teca di vetro, l’abito, le forme del corpo.
É in questa sua straordinaria capacità visiva del tutto istintiva e fuori dalla norma, e nell’abilità di trasporla sulla tela, che si riconoscono la forza e la singolarità del Mancini maturo, ad oggi meno noto, molto ben rappresentato in opere come questa.
Cinzia Virno
Novembre 2020