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Il dipinto è corredato da un perizia in copia di Nancy Ward Neilson, che avanza la presente attribuzione. La studiosa colloca il dipinto nel periodo milanese dell'artista, ovvero dopo la metà degli anni '80 del Cinquecento. Il modo di dipingere il paesaggio infatti riflette la forte influenza che la cultura fiamminga esercitò tra gli artisti attivi nell'Italia settentrionale alla fine del secolo XVI. L'intera composizione trova un confronto con alcune opere di Camillo Procaccini databili all'ultimo decennio del Cinquecento, in particolare con il Padre Eterno nella Chiesa della Madonna di Campagna a Pallanza e il Cristo in gloria nel coro della Chiesa San Prospero a Reggio Emilia. Il Conte Giuseppe Maria Sebregondi (1792 - 1861), podestà di Milano e proprietario del dipinto fino alla metà dell'Ottocento circa, era imparentato con i Melzi d'Eril, con i Barbiano di Belgioioso e con i Cornaggia Medici della Castellanza, importanti famiglie nobili lombarde che potrebbero essere state le originarie committenti di Procaccini per questo bellissimo dipinto.