Informazioni
cm 49,5 x 57,5
entro antica cornice in legno dorato
reca sul telaio tracce di stock Christie's Londra e sulla tela di rifodero timbro di galleria d'arte non leggibile.
Provenienza
Il dipinto in esame è da restituire al Maestro dell’Incredulità di San Tommaso, recentemente identificato da Francesca Curti con il pittore Bartolomeo Mendozzi, attivo tra gli anni venti e quaranta del Seicento a Roma, dove si formò nella bottega di Bartolomeo Manfredi.
Il cosiddetto Maestro dell’Incredulità di San Tommaso è stato un pittore tra i protagonisti del caravaggismo romano di seconda generazione, la cui fisionomia artistica è stata ricostruita da Gianni Papi a partire dal dipinto dell’Incredulità di San Tommaso conservato in palazzo Valentini a Roma. Una personalità di grande statura, a cui Papi ha attribuito più di cinquanta opere, individuando nella sua arte influenze da Ribera, Manfredi e dai francesi Tournier, Regnier e in particolare Valentin de Boulogne e delineandone i tratti salienti dello stile che si caratterizzano per il ductus materico, la pennellata fluida, la marcata espressività dei volti e l’utilizzo di tonalità cromatiche composti da bruni e rossi saturi (G.Papi, Il genio degli anonimi, Milano 2005, pp. 79-80).
Già identificato con il francese Jean Ducamps, la recente attribuzione di Francesca Curti (F. Curti, Su Bartolomeo Mendozzi caravaggesco dimenticato. Per l’identificazione del Maestro dell’Incredulità di San Tommaso, in “Nuovi Studi”, in corso di pubblicazione) ha preso avvio dalle ricerche documentarie e dai confronti stilistici di Giuseppe Porzio con i dipinti raffiguranti il Martirio di San Lorenzo e il Martirio di Santo Stefano, posti sulle pareti laterali della Cappella San Carlo nella cattedrale di Rieti (G. Porzio, Pittori spagnoli nella Roma caravaggesca. Un bilancio, in Roma al tempo di Caravaggio 1600-1630, catalogo della mostra a Roma a cura di R. Vodret, Palazzo Venezia, Milano 2012, vol.2, p.402). In un documento settecentesco, infatti, le tele erano ricordate come opere di un “Mendozzi”, pittore nato intorno al 1600 a Leonessa, attivo a Roma fino alla metà del quinto decennio, ben inserito negli ambienti barberiniani, molto apprezzato da alcuni dei più importanti collezionisti dell’epoca, tra cui i Giustiniani e soprattutto i Savoia, nelle cui collezioni figuravano già all’inizio degli anni trenta del Seicento numerose opere di “Bartolomeo della Leonessa” definito ”allevo di Manfredi” (A. M. Ambrosini Massari e A. Delpriori, La luce e i silenzi. Orazio Gentileschi e la pittura caravaggesca nelle Marche nel Seicento, Ancona 2019, pp. 260-263).
A confermare l’attribuzione concorre il tema del pastore suonatore di flauto, soggetto reiterato nella produzione del Mendozzi, come si evince dal confronto con la coppia di Suonatori di flauto, del medesimo formato e taglio compositivo, recentemente esposti all’ultima edizione del TEFAF a Maastricht dalla Giacometti Old Master Paintings (Fig.1). Una grande tela raffigurante Pastori musicanti è conservata a Torino al Circolo Ufficiali di Presidio, mentre un dipinto raffigurante una Coppia di cantanti, sempre del medesimo formato e ductus pittorico della tela in esame, è ricordato presso la collezione Modiano di Roma (Fig. 2).
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