Il mercato dell’arte nel 2023: ci potrebbe dare un commento di sintesi?
Il 2023 è stato un anno molto positivo per il Gruppo Finarte, che per la prima volta considera nel proprio perimetro anche Czerny’s – casa d’asta leader a livello internazionale nel settore delle armi antiche – acquisita nel novembre del 2022. Il Gruppo ha intermediato vendite per circa 35 milioni di euro (+25% rispetto all’anno precedente), realizzando il miglior risultato di sempre e consolidando la propria posizione nel mercato italiano. Abbiamo raccolto i frutti degli investimenti fatti in questi anni e capitalizzato la fiducia dei nostri clienti, sia mandanti che acquirenti. A crescere non è stato solo il numero degli affidamenti, ma anche la percentuale di venduto, la qualità e il valore medio dei beni che ci sono stati consegnati.
Quali sono i principali driver che hanno determinato l’assestamento del mercato dell’arte in Italia?
Il mercato dell’arte in Italia, nel 2023, ha effettivamente registrato una leggera flessione a livello aggregato, rispetto all’anno precedente, ma è opportuno rilevare come il 2022 sia stato un anno straordinario che ha beneficiato dell’effetto “rimbalzo”, dopo un biennio di emergenza sanitaria: pertanto il confronto del mero dato numerico va letto e interpretato con capacità critica. Al di là di questa considerazione, senz’altro l’inflazione e l’aumento dei tassi d’interesse hanno influenzato le vendite, ma – in un mercato di dimensioni limitate come quello italiano, sensibile alle piccole variazioni – i motivi della contrazione vanno ricercati anche nei risultati e nelle scelte strategiche di singoli operatori che – per ragioni naturalmente comprensibili e legittime – possono aver deciso (come di fatto è successo!) di ridurre il numero delle vendite o di delocalizzarle in altri paesi in cui operano. Non leggerei dunque l’assestamento del mercato italiano necessariamente come un trend ribassista.
Quali sono i dipartimenti che hanno avuto maggiore successo nel 2023? E quale profilo hanno e da dove vengono i collezionisti più attivi?
Quasi tutti i nostri dipartimenti hanno registrato una crescita significativa, a doppia cifra, nel corso del 2023. In valore assoluto Arte Moderna e Contemporanea, Gioielli e Orologi ancora una volta sono stati i dipartimenti trainanti, ma in termini percentuali a crescere maggiormente sono stati gli Old Masters e l’Arte del XIX Secolo. È proprio da quest’ultimo settore che viene il nostro top lot dell’anno, il Ritratto femminile di Angelica Kauffmann, battuto nell’asta del 19 ottobre. Se i mandanti sono ancora prevalentemente italiani, gli acquirenti, al contrario, sono in una quota sempre più consistente internazionali: Stati Uniti, Francia e Regno Unito sono i paesi da cui provengono il maggior numero di offerte. Sebbene con marcate differenze in base ai settori collezionistici, la parità di genere nel mercato dell’arte è, ahimè, ancora lontana: a partecipare alle aste sono infatti – in netta prevalenza – uomini, con un’età media superiore ai 55 anni. Cresce tuttavia un nuovo collezionismo, giovane e dinamico, attratto da beni con soglie di accesso contenute – come ad esempio la fotografia, il design o il vino da collezione – o con una forte valenza identitaria e di status symbol, come ad esempio gli orologi.
Quali prospettive vede in merito alla digitalizzazione e al mondo degli NFT, a livello internazionale e a livello italiano, anche in considerazione della crisi degli NFT e dell’introduzione per la prima volta in Italia di una normativa?
È naturalmente bene distinguere il fenomeno della digitalizzazione del mercato da quello della produzione di opere d’arte digitali, spesso impropriamente definite NFT.
La digitalizzazione del mercato è un fenomeno inarrestabile che ha avuto un forte impulso durante la pandemia ma che, anche successivamente ad essa, è rimasto ed è divenuto strutturale nel sistema. Finarte stessa, con grande spirito di resilienza, in una situazione così traumatica, ha saputo adattare il proprio business e ha fatto degli investimenti tecnologici un proprio driver di sviluppo. Continueremo ad investire in tal senso per allargare la nostra clientela verso paesi in cui diversamente non potremmo arrivare. Lo faremo però con la consapevolezza che i collezionisti, e più in generale il pubblico dell’arte, hanno anche il desiderio, più forte che mai, di vivere esperienze reali, a diretto contatto con le opere e con le persone. Non è un caso se, proprio quest’anno abbiamo voluto investire in questa direzione, tornando nella nostra sede storica di Piazzetta Bossi, a Milano, il luogo dove il mercato delle aste è nato nel 1959 e che vogliamo far diventare un luogo vivo di incontro e di scambio dedicato all’arte e al collezionismo.
Fenomeno ben diverso è quello delle opere digitali, che hanno conosciuto, come noto, un momento di grande e repentino successo di mercato, seguito da un crollo altrettanto verticale. Lo sgonfiamento della bolla speculativa – che ne aveva contraddistinto l’ascesa – ha determinato una dura selezione delle opere e degli artisti davvero meritevoli di attenzione, così come l’introduzione di una normativa specifica ha disciplinato un mercato fino a pochissimo tempo fa completamente deregolamentato e caratterizzato da pratiche opportunistiche, se non addirittura fraudolente. Alla luce di ciò, sono convinto che tali opere siano certamente destinate a rimanere – in quanto espressione della sensibilità attuale – ma che siano destinate a rappresentare solo una delle molteplici forme della creatività e della produzione artistica.
Qual è la sua prospettiva sull’andamento del mercato dell’arte in Italia, specialmente alla luce della Brexit e degli sforzi italiani per rilanciare il settore tramite una nuova legislazione che semplifica le procedure per la circolazione dei beni culturali e introduce una serie agevolazioni fiscali?
La Brexit ha avuto un effetto tutt’altro che trascurabile sugli equilibri del mercato dell’arte, spostando il baricentro del mercato europeo su Parigi: se tale spostamento è stata la logica conseguenza di una decisione presa oltremanica, è altrettanto chiaro come la Francia abbia saputo cogliere l’opportunità, creando le giuste condizioni per affermarsi come il paese di elezione del mercato, in ambito comunitario, mixando sapientemente attrattività fiscale, valorizzazione del sistema e marketing territoriale. Da questa esperienza ritengo che dovremmo trarre ispirazione: il modello è senz’altro replicabile e consentirebbe all’Italia di giocare un ruolo di maggiore rilievo e di non diventare, in prospettiva, solo mercato di approvvigionamento dei grandi player internazionali. Qualcosa, in tal senso, si sta finalmente muovendo: il dialogo fra gli attori del mercato e gli apparati governativi è ormai costante e l’auspicio è che le trattative in essere – in materia soprattutto di circolazione internazionale dei beni e di fiscalità – rendano finalmente il nostro paese più competitivo. Il Gruppo Apollo – di cui l’ANCA, Associazione Nazionale Case d’Asta fa parte – sta svolgendo in tal senso un lavoro meritorio, portando avanti con equilibrio e rigore, istanze ragionevoli, condivise e fortemente volute da tutti gli operatori del settore.
Ci può fare, inoltre, una breve panoramica sugli effetti dell’evoluzione del conflitto israelo-palestinese sulla domanda dei beni da collezione, nonché sull’offerta, parlando quindi della disponibilità dei collezionisti alla vendita? Le aste del 2023 sembrano avere avuto risultati in chiaroscuro.
Il conflitto israelo-palestinese è scoppiato nell’ultima parte dell’anno e, benché fosse ampiamente prevedibile, si è trasformato in una crisi internazionale solo successivamente. Considerata la fisiologica inerzia del mercato dell’arte, non ritengo che i risultati del 2023 siano stati influenzati più di tanto da questo conflitto. Senz’altro la situazione mediorientale contribuisce in modo significativo al quadro di instabilità geopolitica internazionale con cui invece il mercato si dovrà confrontare nel 2024: l’incertezza derivante dal conflitto israelo-palestinese – così come dalla situazione in Ucraina o dai venti di guerra a Taiwan – avranno certamente, a livello aggregato, impatti sul mercato dell’arte, ma ritengo che ad accusare maggiormente il colpo saranno le grandi piazze internazionali e la fascia più alta del mercato.
Guardando al mercato italiano, esistono particolari differenze rispetto ai trend del mercato internazionale?
Personalmente non rilevo particolari differenze fra i macro-trend del mercato internazionale e quelli del nostro mercato, a maggior ragione perché la digitalizzazione dei canali di vendita ha in gran parte abbattuto le frontiere geografiche e ha contribuito a generare e alimentare trend che possiamo definire a tutti gli effetti globali. Al netto delle propensioni verso determinati artisti o correnti, magari più affini alle specifiche culture e identità nazionali, le differenze sono principalmente in termini di volume delle vendite e di valore medio dei beni. Uno dei pochi elementi che rilevo nel mercato anglosassone e che non ritrovo, al contrario, in Italia – così come, peraltro, nel resto dell’Europa – è la contaminazione fra mercato primario e mercato secondario che, negli Stati Uniti e nel Regno Unito, consente, ad esempio, ad artisti molto giovani di essere proposti e venduti in asta, talvolta anche senza essere rappresentati e sostenuti da gallerie di riferimento.
Quali sono le prospettive per il 2024, anche in considerazione dell’attuale contesto macro-economico?
Come detto in precedenza, ritengo che il contesto geopolitico rappresenti la principale minaccia per il mercato dell’arte nel 2024. Con questa premessa, esprimo però un cauto ottimismo: il mercato è solido e continua a rappresentare un sicuro baluardo per chi intende coltivare una passione collezionistica e al contempo diversificare il proprio patrimonio, investendo in beni reali. La raccolta di mandati in questi primi mesi dell’anno ce lo sta confermando!