Da bambini si favoleggia sul lavoro che si vorrebbe fare da adulti: l’astronauta, il vigile del fuoco, il calciatore, lo scrittore, e via discorrendo… In pochi casi, però, questo desiderio si avvera e spesso ci si ritrova a riporre i propri sogni nel cassetto.
Leggendo l’autobiografia del fotografo tedesco Helmut Newton si comprende come per lui quest’affermazione non sia vera, anzi, non solo è riuscito a costruire una carriera di successo nella professione agognata fin da bambino, ma anche a ritrarre quell’immaginario femminile che fin da ragazzo lo affascinava e conturbava.
Nato Helmut Neustädter a Berlino nel 1920 da una famiglia benestante, cresce in un ambiente colmo di raffinata eleganza e intellettualmente stimolante, coccolato non solo dalla madre ma anche dalla servitù. Quelle domestiche di casa in uniforme scuro e grembiule bianco che andranno ad animare le fantasie di un adolescente e le sue successive fotografie.
La prima macchina fotografica, un’agfa tengor box, entra nella sua vita a dodici anni ed è subito amore. Il primo rullino ha sette pose, le prime sei in metropolitana vengono scure ma quella a un’antenna radio, seppur sgranata, lo rapisce, instradandolo sulla via della fotografia.
Per perseguire il suo obiettivo il giovane Helmut entra nello studio della fotografa di moda e ritratti Ili de Yva, dove impara i trucchi del mestiere e inizia a delineare le basi della sua poetica, dando vita a quell’immaginario di erotismo voyeuristico che caratterizzerà poi tutta la sua carriera.
Il cognome Newton, con cui il fotografo diverrà globalmente riconosciuto, viene assunto solo successivamente quando, a causa dell’affermarsi del nazismo nella natia Germania ed essendo lui di famiglia ebrea, è costretto a rifugiarsi in Australia. È solo l’inizio di un lungo pellegrinare dietro l’obiettivo di una macchina fotografica che, conducendolo dall’Europa all’America, lo ha portato a lavorare per le più importanti testate di moda come Vogue, Vanity Fair e Marie Claire, scandalizzando per il suo stile provocatorio in cui la donna è spesso ritratta in pose sadomasochistiche e di apparente sottomissione.
D’altronde, come lui spesso amava ripetere: “Bisogna essere all’altezza della propria cattiva reputazione” e “Ogni fotografia parla per sé. In esse ho cercato ogni volta di aggirare dei tabù”.
Alcuni di questi potrete trovarli alla prossima asta di Fotografia del prossimo 30 settembre, come Saddle I, Paris, del 1976. Una giovane modella è ritratta nuda sopra il letto di una camera d’hotel, nulla di strano se non che sulla propria schiena indossa una sella da equitazione. La ragazza non guarda lo spettatore ma fissa decisa qualcuno al di fuori dell’inquadratura. Nonostante l’apparente situazione di sottomissione, è lei ad avere in mano il controllo della situazione e a decidere le regole del gioco.
D’altronde, le donne ritratte da Helmut Newton non trasmettono mai un’idea di fragilità o debolezza, ma di forza e potenza come le quattro modelle di Sie Kommen, realizzata nel 1981 per un servizio dell’edizione francese di Vogue. L’opera nasce come un dittico in cui le modelle sono riprese nella medesima posa prima vestite e poi solo con le scarpe coi tacchi. L’accostamento delle due immagini può inizialmente spiazzare, ma successivamente comunica tutta la forza e l’indipendenza di ciascuna modella in una perfetta rappresentazione della donna contemporanea che affronta la vita lottando come una “valchiria”.
“Mi piace suggerire l’idea che le donne che mostro sono disponibili e reali”.
La realtà della vita e l’erotismo, anche implicito, in essa costantemente presente è alla base di tutta la ricerca del fotografo tedesco, per cui anche delle situazioni di posa molto forti e potenzialmente disturbanti divengono plausibili e piacevoli.
Una delle differenze che rende unica una fotografia di nudo di Newton è l’attenzione al volto dei soggetti, ogni scatto è sia un nudo che un fine ritratto psicologico. Spesso, infatti, il nostro sguardo non cade sul corpo, ma è magneticamente attirato dallo sguardo.
D’altronde, come affermava lo stesso Newton: “L’erotismo è in faccia non nei genitali!”.
Questo è ben ravvisabile nella serie di modelle del portfolio Cyberwoman. Una di esse è appoggiata a un frigorifero. Un’altra fuma seduta a gambe incrociate con un bastone da passeggio fra le mani. Un’altra ancora è sdraiata su una moquette fiorata impugnando una pistola. Una si alza da una sedia sotto un cavalcavia. Una è sdraiata sopra un cappotto per la strada con delle persone attorno. Una ci mostra il pube seduta su un divano in vestaglia. L’ultima è appoggiata a una finestra, fuori è notte, lei è illuminata da una lampada.
Sette tipologie di donne, tutte svestite, tutte in pose e ambienti diversi, ma caratterizzate da sguardi magnetici che bucano lo schermo legandoci a loro e alle loro storie.
“Le mie foto sono come una storia che non ha inizio, né via di mezzo, né fine”.
Grazie Helmut perché consenti a ciascuno di noi che guardiamo le tue foto di immaginare le storie che più preferiamo. Una diversa per ognuno di noi. Immaginate anche voi la vostra partecipando all’asta di Fotografia del prossimo 30 settembre.
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Wednesday 30 September 2020, 05:00 PM • Milan