Molti movimenti artistici con le loro pratiche hanno aspirato a far coincidere l’arte con la vita. Tra i primi, in ordine cronologico, sicuramente il Futurismo. E quale tra i suoi componenti si è più impegnato per raggiungere questo obiettivo se non Giacomo Balla?
Giacomo Balla, artista torinese, per tutta la sua lunghissima carriera si è occupato indistintamente di pittura, tessitura, decorazione d’interni, scultura, scenografia e moda, equiparando le arti applicate alle cosiddette arti “maggiori”.
In particolare, il suo interesse per giacche e camicie è stato tale da portarlo a comporre e pubblicare nel 1914 il Manifesto del Vestito Antineutrale, dove vengono enunciate tutte le caratteristiche del perfetto abito futurista: aggressivo, agilizzante, dinamico, semplice e comodo, igienico, gioioso, illuminante, volitivo, asimmetrico, di breve durata e variabile. Testo approvato, entusiasticamente, anche da tutti gli altri membri del movimento, dato che tra le sue righe poteva leggersi un incitamento alla partecipazione dell’Italia all’imminente primo conflitto mondiale.
Giacomo Balla era il primo modello delle sue creazioni. Secondo il suo pensiero: “Si pensa e si agisce come si veste”, quindi libero spazio a giacche e pantaloni dai tagli asimmetrici e dai colori sgargianti nati per stupire, provocare e far riflettere, rappresentando il flusso continuo della vita nelle moderne città.
L’uomo, grazie ai completi disegnati da Balla, diventa un’opera d’arte al di fuori dei musei e, come tutti i capolavori, deve essere rifinito nei minimi dettagli. Da qui l’interesse dell’artista anche per quegli elementi “accessori” come la cravatta, lotto 134, (stima € 5.000-7.000) che sarà presente nella prossima asta del 28 maggio di Arte Moderna e Contemporanea.
Dipinta tra il 1930 e il 1932, riprende in piccolo le sue ricerche sulle linee di velocità e sulle forme rumore: linee azzurre si contrappongono su uno sfondo verde acido. Una cravatta elegante e “normale” (se contrapposta a un’altra dello stesso Balla: una teca in plexiglass con lampadina che l’artista si premuniva di accendere durante una conversazione intelligente, proprio come succederà decenni dopo al personaggio Disney, Archimede Pitagorico).
Ma quand’è che nasce questo “semplice” pezzo di stoffa che trasforma un uomo casual in uomo elegante? Esistono diverse ipotesi. Ad esempio, gli Egizi usavano ornare il collo dei defunti con nastri colorati in segno di protezione e i legionari romani si avvolgevano delle stoffe al collo per proteggersi dalla polvere durante le marce sulle strade sterrate.
La più avvalorata, però, fa risalire la nascita della cravatta alla Guerra dei Trent’anni (1618-1648), quando le truppe francesi notarono piccoli foulard annodati al collo dei mercenari croati nel loro vestito tradizionale e, invaghiti da quel vezzo, lo importarono a Parigi dando vita a una moda che si diffuse velocemente, avendo come testimonial personaggi del calibro di Luigi XIV.
La cravatta si è poi evoluta negli anni a seconda delle mode, assumendo la forma che oggi conosciamo.
Può essere in seta, lana, cotone o materiale sintetico, ha una lunghezza standard di circa 150 cm ed è composta da pala, codino, giuntura e passantino.
Logicamente ogni uomo deve scegliere questo capo accuratamente a seconda dell’abito che indossa o della situazione, ma se l’ampiezza dipende dalla sua stazza, la fantasia è totalmente a sua discrezione: a tinta unita, a righe, a pois o a composizioni estrose, come le cravatte a marchio Hermès che potrete aggiudicarvi il prossimo 11 giugno all’asta di Fashion Vintage.
Nella stessa asta potrete trovare molti esempi di quello che è il corrispettivo femminile della cravatta: il carré. Delle vere e proprie opere d’arte che ormai tutti i più grandi marchi di moda inseriscono nelle loro collezioni. Anche se, unanimemente, quando si parla di Carré si pensa a quelli di Hermès, il marchio che ha saputo rilanciarne l’utilizzo rendendolo tra i capi indispensabili nell’armadio di ogni donna.
Il primo modello risale al 1937 quando Robert Dumas, genero e socio di Emile Maurice Hermès, convince quest’ultimo della necessità di personalizzare le sciarpe fino ad allora prodotte dalla loro fabbrica. Chiave del successo, ancora oggi, la personalizzazione da parte di grandi disegnatori e tantissimi si sono succeduti ai primi: Philippe Ledoux e Hugo Grygkar, con totale carta bianca su quei quadrati di twill di seta di 90 x 90 cm per 70 gr di peso.
Cavalli, fuochi d’artificio, scene di caccia, velieri, funghi, bonsai, biciclette e moltissimi altri soggetti serigrafati dagli artigiani di Hermès in più di 75.000 tonalità di colore.
Vere e proprie opere d’arte.
Siamo sicuri che anche Giacomo Balla, se invitato, avrebbe più che volentieri disegnato un Carré per Hermes. Stupendoci.